Black Panther

Di Ryan Coogler, con Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong’o, Forest Whitaker

Mariarosa Mancuso

Wow! Mai visto un film di supereroi con tanta grinta. Potremmo prendere come precedente lo “Spider-Man” di Sam Raimi uscito dopo l’11 settembre (in post produzione dovettero tagliare la ragnatela tessuta tra le Twin Towers) e il monito “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Resta comunque un film di supereroi, il che significa: un genere codificato, pensate all’opera lirica. Certi spettatori non reggono la tubercolotica canterina. Altri fuggono dai giovanotti con la tuta (piena e spontanea confessione: a noi fanno questo effetto i western). Nell’universo Marvel, “Black Panther” è il supereroe nero, erede del regno di Wakanda laggiù nell’Africa profonda: ricco e tecnologicamente avanzatissimo grazie al vibranio (son supereroi, possono non piacere, ma è sciocco accanirsi contro il genere).

 

Papà muore e T’Challa ritorna alle origini, si sottopone al rito di passaggio, rinasce con il costume da pantera (la sorellina fornisce i gadget tecnologici, cosicché il nostro eroe comincia a profilarsi come un James Bond africano). Deve vedersela con un bianco cattivo che ha rubato il vibranio e intende venderlo ai signori della guerra. Nella disputa resta impigliato l’agente della Cia Martin Freeman, unico altro bianco in un cast all black. Scelta coraggiosa, per un film ad altissimo budget (funzionava così la blaxploitation anni 70, ma il pubblico di riferimento erano i fratelli neri).

 

Scelta ancora più coraggiosa: affidare il progetto a Ryan Coogler. 32 anni a maggio, rivelazione nel 2013 con “Prossima fermata-Fruitvale”: un giovanotto nero esce di casa per l’ultimo dell’anno e viene ammazzato dalla polizia. Nato a Oakland, non aveva mai messo piede in Africa. Meditava di andarci quando è arrivata l’offerta che non poteva rifiutare. Girando il film, ha fatto un corso intensivo sulla cultura degli antenati. Rituali, divinità, sciamani, maschere, drappeggi di stoffe multicolori, turbanti, treccine, scarificazioni, anelli da collo, armi della tradizione, pozioni: nulla dell’orgoglio nero viene perso per strada. Con un innesto di “afro-futurismo”: ognuno ha diritto alla propria fantascienza.

Di più su questi argomenti: