Pubblicità del 1973, Cioccovo Wander (ovomaltina)

Viva la merendina

Maurizio Stefanini

Non c’è niente di più sano, light e italiano. Breve storia di un prodotto che ha rivoluzionato, e in positivo, i nostri consumi

Ce le meritiamo, le merendine! Nel senso più letterale del termine. Malamerenda si chiama quella frazione di Siena in cui, secondo la tradizione, in un giorno del 1331 diciotto Salimbeni invitarono a un picnic altrettanti Tolomei col pretesto di sanare con una mangiata un’antica inimicizia. E invece ne approfittarono per farli fuori a pugnalate, dopo averli distratti con l’offerta di diciotto tordi. E pure “compagni di merende” furono definiti gli amici del mostro di Firenze Pietro Pacciani. Un’espressione poi riferita da Filippo Mancuso a Oscar Luigi Scalfaro e Lamberto Dini, e divenuta occasione di querele fino a quando, nel 2009, la Corte di Cassazione non la ha definitivamente sdoganata come “legittimo diritto di critica”. Il famoso “ladro di merendine” del commissario Montalbano associa il termine a un’attività delittuosa, sia pure minorile. Ma anche la “tassa sulle merendine”, proposta per finanziare la Pubblica istruzione dal ministro Fioramonti, approvata da Conte, sbeffeggiata da Salvini e per ora bocciata da Di Maio, sottintendeva che il soggetto fosse se non proprio delittuoso, certo deplorevole. Un vizio costoso e non salutare, degno di essere stroncato e nell’occasione utilizzabile per rimpinguare le finanze pubbliche senza troppo rimorso. Oltretutto, una cattiva abitudine presumibilmente importata dall’estero in spregio alle sante tradizioni nostrane sulla Sacra Dieta Mediterranea.

 

Quasi tutti gli esempi stranieri non riguardano le tasse sulle merendine, ma sulle bibite gassate o sui cibi troppo grassi

E invece, no! Vari media hanno citato studi condotti sulla quarantina di paesi che hanno introdotto una tasse del genere, dal Messico all’Ungheria. Le associazioni di settore la hanno attaccata, spiegando che provocherebbe un 30 per cento in meno di vendite, con 10.000 posti di lavoro a rischio, un -11 per cento di gettito Iva e un -15 di gettito da tasse di lavoro e di reddito. Si è detto pure che l’effetto sulla salute sarebbe nullo, perché i consumatori si sposterebbero su altri prodotti egualmente pregiudizievoli ma non tassati. Praticamente nessuno si è soffermato invece sul fatto che in realtà quasi tutti gli esempi stranieri non riguardano tasse sulle merendine, ma sulle bibite gassate. La Danimarca ha introdotto un’imposta universale sugli alimenti con un contenuto di grassi saturi superiore al 2,3 per cento. Ma le “merendine” in quanto tali non sono state colpite da nessuno. Il motivo? E’ che le merendine come le intendiamo noi, in realtà, fuori d’Italia non esistono. C’è la merenda, che secondo il latino sarebbe una cosa “da meritarsi” dopo una giornata di duro lavoro. La merenda italiana, la merienda ispanica e filippina e californiana, la lanche portoghese, la marenda sloveno-croata, il goûter francese, il podwieczorek polacco, l’afternoon tea anglosassone i consumano tutti infatti tra le quattro e le sei del pomeriggio. Dal tè inglese con sandwich alla carne per le più affamati classi popolari – o al cetriolo per le classi alte preoccupate della linea – fino al mate argentino e urugayano con bocadillos e dulce de leche, passando per le tartine al burro e marmellata tipiche della tradizione francese e polacca o per i panini al chorizo spagnoli, per merenda in tutti questi posti non si consumano le merendine. Meno che mai nell’Italia dei mille street food: abbiamo la focaccia ligure, il pani câ meusa palermitano, la piadina romagnola, il pane con la porchetta laziale, la pizza, il gelato.

 

La merendina, invece, è per i bambini che vanno a scuola, per l’ora di ricreazione. E’ un cibo moderno, figlio del boom economico. Nasce infatti negli anni Cinquanta, prendendo il posto del tradizionale pane casareccio imbottito di mortadella, salame, prosciutto e formaggio. Però ha le sue solite radici nella tradizione nostrana. Cos’è infatti il Mottino, nel 1951 solido capostipite di tutto il genere, se non una versione mignon del panettone di Natale? Dopo il panettone, il secondo dolce emblematico del nostro calendario religioso è la colomba di Pasqua. Immaginatene un riassunto, un bignamino, ed ecco che nel 1953 la Motta crea anche il Buondì, che oltre all’impasto a lievitazione naturale conserva la glassatura all’amaretto e la guarnizione di granella di zucchero. E naturalmente il terzo successo fu il Pandorino della Paluani: a sua volta campione ridotto del dolce natalizio veronese. Il quarto campione di quella che è la prima generazione di merendine è considerata la Brioss, introdotta sul mercato nel 1961. Se il nome allude alle brioches già care a Maria Antonietta, in effetti la composizione si richiama le torte della nonna: un trancino di pandispagna, farcito con marmellata di albicocche e di ciliegie. L’anno prima era già nata la mitica Fiesta: pandispagna leggermente imbevuto di liquore curaçao aromatizzato con scorze di arancia, e rivestito da uno strato di cacao.

 

Sia la Fiesta sia la Brioss sono prodotti della Ferrero, una marca oggi famosa in tutto il mondo, un impero che ha rivoluzionato l’imprenditoria italiana, celebre soprattutto per la Nutella. La popolare crema di cacao e nocciole, in realtà, sarebbe arrivata solo nel 1964, in qualche modo sull’onda del successo delle merendine, anche se la trovata di diluire il cioccolato nella nocciola in Piemonte l’avevano avuta addirittura al tempo di Napoleone per rimediare alla scarsezza di cacao derivante dal blocco continentale.

 

La merendina è destinata all’ora della ricreazione. E’ un cibo moderno, figlio del boom economico italiano

Intendiamoci: non è che all’estero non esistano cose del genere. Il Twinkie statunitense, per esempio, è più antico di tutte le merendine italiane. Fu inventato nel 1930 da un fornaio della Continental Baking company che aveva notato come i macchinari usati per le shortcake alla fragola erano utilizzate solo nel periodo di raccolta della frutta. Inventò dunque un tronchetto di pan di Spagna ripieno di crema alla banana, e poi in periodo di razionamento delle banane, durante la Seconda guerra mondiale, nacque una variante alla vaniglia che ebbe più successo. Mentre la shortcake era un dolce classico, il Twinkie è a tutti gli effetti una merendina. Prima ancora, nel 1923, era stata creata a Minneapolis la Milky Way: una barretta di cioccolato con un ripieno di torrone e vaniglia. Nel 1932 in Inghilterra ebbero l’idea di farla con un ripieno di malto e caramello, e così nacque il Mars, che in Scozia è molto popolare fritto in pastella, e nella sua versione normale ha sfondato anche da noi. Ma non sono prodotti usati per le ricreazioni scolastiche, e non sono collegati a ricette tradizionali. Vengono invece distribuite nel corso della giornata, assieme a altri snack tipo arachidi, pop-corn o marshmallow.

 

In Italia invece il senso identitario delle merendine fu ulteriormente accentuato dai Caroselli degli anni Sessanta e Settanta, che ne fecero prodotti nazional-popolari. “Fiesta ti tenta tre volte tanto”, è lo slogan che nasce nel 1964. Negli anni Settanta i Ricchi e Poveri ci fanno anche una canzone, di cui nella pubblicità sui giornali è trascritto addirittura il pentagramma con accompagnamento. “Lasciateci dire snacchiamoci una Fiesta / questa è l’idea per tipi come noi, / lasciateci dire che una non ci basta, / è troppo buona Fiesta Snack! / Tre gusti nuovi da perderci la testa, / piccola ma grande Fiesta Snack, / lalalala lalalala lalalala lalalalaaaa!”. In seguito, della Fiesta, si sarebbe detto che “nutre con piacere”, e in tempi più recenti avrebbe salvato una testimonial che confessava: “Non ci vedo più dalla fame”. Mentre il Buondì sarebbe andato sul macabro-catastrofico con una bambina che chiede “una colazione leggera ma decisamente invitante che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità”. “Possa un asteroide colpirmi se esiste”, giurano prima la madre e poi il padre, per poi essere effettivamente inceneriti dall’astro. Il postino invece, che ha solo osservato che “colazioni così mica piovono dal cielo”, è schiacciato da un Buondì gigante.

 

Proprio per rispondere al successo della Fiesta nel 1973 la Motta lancia la Girella. Definita la “prima merendina culturalmente rivoluzionaria” e “la prima vera merenda golosa italiana”, è anch’essa a base di pandispagna: doppio, con cacao e farcito di crema. Ma per colpire l’attenzione si presenta con una inconfondibile forma a spirale, e per lanciarla viene addirittura pensato un fumetto. In un clima dove il successo di “Soldato Blu” e “Piccolo Grande Uomo” ha ormai sbolognato il Western revisionista dalla parte degli Indiani, il protagonista si chiama Toro Farcito, ed è il capo che deve difendere la sua tribù dalle scorrerie del cowboy Golosastro, “quasi rimasto a secco” di Girella e male intenzionato a depredare la Valle della Buona Merenda per rifornirsi. Ma Golosastro viene sconfitto e scacciato, e Toro Farcito può dunque banchettare con la Girella conquistata sul campo spiegando una semplice filosofia: “La morale è sempre quella, fai merenda con Girella”. In tv il fumetto diventa un cartone animato, per le animazioni di Manuli ed il jingle del maestro Gianfranco Tadini. 

 

Le merendine “culturalmente rivoluzionarie” e quelle “davvero golose”. La battaglia a colpi di pubblicità, pure su Carosello

Anche la Ferrero apre gli anni Settanta presentandosi in cartone animato, nella figura di un Gigante Amico che rimedia alla malefatte di Jo Condor, rapace bombardiere con assistente siciliano. “Gigante, pensaci tu”, canta il coro, commentando: “in tutto il mondo/ in tutto il mondo/ nessuno è cattivo come Jo Condor”. Nel 1975 proprio la Ferrero parte al contrattacco con Kinder Brioss: ancora pandispagna, ma farcito al latte. E nel 1978 scende in campo in forze la Barilla, che già nel 1961 aveva lanciato il Trancino: pandispagna farcito con marmellata di albicocche o ciliegie. Dondoli e Trottoline non avranno successo, ma sfonda il Saccottino: brioche lievitata farcita all’albicocca, al cioccolato o alla crema. E anche la Crostatina: minitorta di pasta frolla in due versioni, alla marmellata e al cioccolato. “C’era una volta in un paese vicino vicino”, presenta un cartone animato con un bambino cui per colpa di “una poco nutriente colazione del mattino” la cartella diventa gigantesca, fino a quando non viene a sostenerlo la carica di energia del saccottino.

 

I Kinder Colazione Più, lanciati nel 1981 dalla Ferrero, sono fatti con cinque cereali e un pizzico di cacao. I Tegolini e i Soldini, inventati dal Mulino Bianco della Barilla rispettivamente nel 1983 e nel 1985, sono fatti di pandispagna, farciti e ricoperti al cioccolato. Kinder Delice, creato dalla Ferrero nel 1985, ha due strati di pandispagna farciti di latte e coperti di cacao. Lo Yo-Yo, inventato dalla Motta nel 1986, al tempo della moda dei “paninari”, dà al pandispagna al cioccolato la forma di un panino. Ma ancora dopo trentacinque anni siamo alla cosiddetta “prima generazione”.

 

Come la Seconda Repubblica, anche la seconda generazione di merendine ha le sue radici nel 1989. Dai Buondì ai Tegolini

Come la Seconda Repubblica, anche la seconda generazione di merendine ha le sue radici nel 1989. Con la sua linea Mulino Bianco e il logo ispirato a un antico mulino del Senese, la Barilla lancia prodotti di immagine ecologica che cercano di venire incontro alle nuove mode salutiste e ambientaliste – tanto che la “famiglia del Mulino Bianco” diventa pure oggetto di burla. Lo stesso anno della caduta del Muro di Berlino escono dunque le Camille, tra i cui ingredienti sono anche le carote. E i plumcake, allo yogurt. Seguono le merendine refrigerate, al latte freddo pastorizzato. Nel 1991 la Ferrero lancia così le Fette al latte, nel 1993 i Pinguì, l’anno successivo i Kinder Paradiso. Nel 1995 vi aggiunge lo Yogo Brioss, con yogurt e marmellata. Nel 1997 lancia un prodotto del filone anche la Barilla Mulino Bianco, con i Flauti. A fine anni Novanta si aggiunge la Croissanterie Bauli, che riscopre il cornetto. E dopo il 2000 in realtà in tutte le merendine calano drasticamente zuccheri e grassi saturi, mentre scompaiono addirittura del tutto i conservanti. La penetrazione nel mercato è del 91 per cento: praticamente tutte le famiglie con almeno un componente sotto i 15 anni mangiano le merendine. Da quarantamila tonnellate all’anno nel 1970, la produzione sale a 130 mila nel 1990 a 217 mila nel 2012, per un controvalore da quasi un miliardo di euro. Le merendine sono quindi il made in Italy, e a ben guardare hanno iniziato da tempo un percorso di salutismo anche senza bisogno di tasse. Se il piccolo tunisino François del romanzo di Camilleri le rubava, era perché evidentemente vedeva anche nel loro consumo un segno di integrazione.

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