Il vano stupore di Fioramonti e la ratio di un governo senza Salvini

Le lettere al direttore del 28 dicembre 2019

Al direttore - Il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur), Lorenzo Fioramonti, si è dimesso. Non ha ottenuto quei 3 miliardi necessari – a suo avviso – per “invertire in modo radicale la tendenza che da decenni mette la scuola, la formazione superiore e la ricerca italiana in condizioni di forte sofferenza”. Su Facebook, l’ex ministro scrive che quando c’è la volontà politica “si recuperano centinaia di milioni di euro in poche ore da destinare ad altre finalità”. Ma, quando “si tratta della scuola e della ricerca pare che le risorse non si trovino mai”. Eppure, spiega, “l’università e la ricerca sono il vero motore del paese, che costruisce il futuro di tutti noi”. Ha ragione Fioramonti a usare la parola “futuro”. Chi è a capo del Miur ha in mano il “futuro” degli studenti che devono essere formati in modo adeguato e dei ricercatori che devono essere messi nelle condizioni di svolgere al meglio la loro professione. C’è da chiedersi, allora, se un politico come lui possa davvero assicurare un futuro ai giovani italiani. Va ricordato, infatti, che Fioramonti è un esponente di spicco del Movimento 5 stelle, una forza politica per cui il futuro dei giovani non sembra essere una priorità, visto che nell’agenda economica grillina mancano i tre principali strumenti per costruirlo: la formazione, lo sviluppo economico e le risorse finanziarie. Andiamo per ordine.

In primo luogo, la formazione. Analisi empiriche dimostrano che la qualità della scuola è un fattore determinante per accedere al mercato del lavoro e per rimettere in moto l’ascensore sociale. In un mondo in continuo cambiamento, le competenze vanno aggiornate, i talenti valorizzati. Eppure, il Movimento 5 stelle ha costruito il proprio successo con lo slogan “uno vale uno”. Il messaggio è chiaro: il merito non esiste, le competenze non servono. Le competenze sono state svilite al punto da far suggerire a numerosi grillini il ricorso “all’estrazione a sorte dei parlamentari”. Nei mesi passati a Viale Trastevere, Fioramonti ha varato misure coerenti con questa linea. Basti pensare che uno dei provvedimenti che l’ex ministro rivendica nel suo post è proprio la rivalutazione degli stipendi degli insegnanti uguale per tutti. Del resto, come avrebbe potuto agire in modo diverso? L’uno vale uno è uno dei miti fondativi dei Cinque stelle. Come lo è la decrescita felice, e qui veniamo al secondo punto: lo sviluppo.

  

L’obiettivo in cima all’agenda economica dei Cinque stelle non è mai stato quello di crescere, bensì di redistribuire: l’approvazione di misure come il reddito di cittadinanza e Quota 100 lo dimostra. Per stessa ammissione sia del Conte gialloverde sia del Conte rossogiallo, le suddette misure non hanno avuto alcun impatto sulla crescita; sull’occupazione l’effetto di Quota 100 è stato persino negativo. Eppure, i Cinque stelle (azionista di maggioranza insieme alla Lega prima e al Partito democratico e Italia viva poi) hanno deciso di destinarvi oltre 12 miliardi di euro l’anno. Nel loro programma elettorale le risorse avrebbero dovuto essere reperite attraverso tagli di circa 40 miliardi (quaranta miliardi!) alle cosiddette “tax expenditures”: lo spiegava lo stesso Fioramonti prima delle elezioni. Nonostante le promesse, le tax expenditures non sono state tagliate. Il governo ha deciso di aumentare il disavanzo e, quindi, il debito: l’allora vicepremier Di Maio ha salutato la decisione esultando dal balcone di Palazzo Chigi. Più debito significa più oneri per le prossime generazioni. E così, ai giovani a cui viene negato un futuro si impone anche di pagare il conto per provvedimenti di cui non potranno mai beneficiare. All’epoca Lorenzo Fioramonti era viceministro al Miur. Alla stregua degli altri componenti dell’esecutivo, approvò quest’azione di politica economica. C’è da chiedersi, allora, quali siano le motivazioni che l’hanno spinto ad accettare il ruolo di ministro nel Conte 2, un governo che sotto questo aspetto avrebbe apportato davvero pochi cambiamenti.

  

In conclusione, Lorenzo Fioramonti non dovrebbe stupirsi della mancanza di fondi per la scuola e la ricerca. Questi temi non sono mai stati la priorità del Movimento di cui fa parte, una forza politica che ha costruito il proprio successo su slogan come “uno vale uno”, “decrescita felice” e “più debito”. Resta, tuttavia, da capire perché il Partito democratico e Italia viva abbiamo lasciato un ministero così importante nella mani dei Cinque stelle. E’ uno dei tanti interrogativi sulla ratio dell’attuale governo.

Veronica De Romanis

 

Intervento perfetto, cara De Romanis, con un’unica nota, anzi due. La ratio del governo esiste ancora nonostante le molte birichinate combinate (e ne sappiamo qualcosa anche noi) e quella ratio è legata alla possibilità non di fare qualcosa di epico (di solito i governi migliori sono quelli che fanno poco, che fare poco significa non fare danni) ma di limitare i danni prodotti dal populismo al governo. Non avere Salvini al governo è già un buon programma di governo. Ma non averlo per avere le stesse cose che avrebbe fatto Salvini al governo (prescrizione sì, quota 100 sì, reddito di cittadinanza sì) è onestamente un po’ troppo. Conviene pensarci prima che sia troppo tardi.


 

Al direttore - Questo aneddoto di fine anno è stato raccontato tempo fa dall’ambasciatore israeliano presso la Santa Sede a Gianfranco Ravasi, teologo dotato di un raffinatissimo senso dell’humor. Può  essere letto sia come una rappresentazione della storia umana sia come un amaro esame di coscienza collettivo. Un giorno Henry Kissinger, allora segretario di stato del presidente Nixon, si recò allo zoo biblico di Gerusalemme. Durante la visita, vide stupefatto  un leone accovacciato davanti a un agnello che brucava pacificamente. Si era forse avverata la profezia messianica di Isaia secondo la quale il leone si sdraierà accanto all’agnello in perfetta armonia? “No, replicò il direttore dello zoo, in verità noi sostituiamo l’agnello ogni giorno…”. Auguri a tutta la redazione del Foglio.

Michele Magno

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