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L'ora di religione

Gaia Manzini

La coerenza intellettuale, il fatto culturale. Ma sento il tempo volare via e ho più bisogno di sentirmi felice

Sai che dobbiamo cambiare il nome a un compagno di classe? dice mia figlia. La guardo perplessa. Sì, come Dio ha fatto con Abramo, dice ancora. Abramo, Isacco, poi Mosè che piccolo piccolo lo hanno messo in una cesta sul fiume. E poi quando è diventato grande ha aperto le acque del mare, hai presente? Lui e i suoi amici ci sono passati in mezzo, senza bagnarsi neanche un po'. Una magia. Secondo te c’è il trucco?

 

Parla, mia figlia, racconta della sua nuova scuola qui a Milano: è sempre felice. I compiti sono tanti, ma lei è sempre felice. Sente l’entusiasmo dell’inizio, sente che a noi piace stare qui. Raccontami dei tuoi nuovi amici, dico. A ricreazione fanno il Tg3, leggono notizie inventate, si danno il cambio al microfono. Con la paghetta lei ha comprato un numero di Topolino anche per il suo compagno di banco. Le piacciono tantissimo i Sumeri e gli esperimenti di scienze. E poi, comunque, non vede l’ora di battezzare con un nome a sua scelta l’amico che le verrà assegnato dalla maestra. Eta Beta: lo chiamerà così, anche se è una femmina. Quest’anno qual è la tua materia preferita? le chiedo. Andranno al museo egizio, intanto ha preso un libro del padre (un saggio per imparare a decifrare i geroglifici): penso di sapere già quello che mi dirà. Invece no.

 

La mia materia preferita è religione, dice con un sorriso. E io non rispondo. Continuo a lavorare al computer, batto sui tasti più forte. A Roma, fino in terza elementare, non frequentava l’ora di religione. Quando arrivava il maestro, lei lasciava la classe; la portavano in un’altra aula, con altri compagni. Se erano più grandi, le piaceva: oggi ho fatto la quinta, diceva entusiasta tornando a casa. Non l’abbiamo battezzata né farà la comunione; noi, d’altronde, non siamo sposati in chiesa. Coerenza intellettuale, dicevamo agli amici alzando le spalle con simulata indifferenza. Ma poi ci pentivamo, non sapevamo neanche noi perché; forse sentivamo una forzatura, uno scarto, anche se non ce lo confessavamo mai. Chi è quello là? Ha chiesto una volta. Indicava il signore barbuto di un quadro, quello che stava piegato verso la culla di Gesù Bambino, insieme alla Madonna. Ma come chi è? Boh, io non lo so. È Giuseppe, lo sposo di Maria! E Maria chi è?

 

Sì, quest’anno abbiamo deciso di farle frequentare l’ora di religione. È un fatto culturale, mi dico; è importante, mi ripeto. Ma poi lo so, dentro di me so benissimo che non voglio farla sentire diversa, che il cambiamento da una città all’altra è stato difficile, che non mi va di saperla separata anche solo per un’ora dalla sua classe, dai suoi compagni. Non mi va che non sappia quello che gli altri conoscono, e rimanga indietro, in difficoltà. Ma poi c’è qualcos’altro.

 

Qual è la tua materia preferita? Religione, risponde. E io con la faccia dentro al portatile, sorrido. Ecco, non so neanche perché, ma mi fa piacere. Sono giorni che ci penso: mi fa piacere. Sono giorni, mesi, forse qualche anno che sento il tempo. Se vado a sciare, ci metto un po' a recuperare. Basta niente e il sonno salta, s’attorciglia e si spezza che sono le quattro del mattino. Sono giorni, mesi, forse qualche anno che vedo i miei invecchiare irrimediabilmente e non riesco a pensare al domani che verrà.

 

Ma i miei bisnonni dove sono?, chiede. Là, sono stelle, rispondo d’istinto. Le persone si trasformano in stelle? Sì, amore, è proprio così. Non ce la faccio a dirle che dopo non c’è niente. Che ognuno di noi – le sue gioie, le sue ambizioni, l’amore che ha provato e dato – d’un tratto non ci sarà più, scomparirà per sempre; chissà se qualcuno si ricorderà di lui, di come camminava, parlava, rideva, del fatto che gli piacesse la cioccolata e il vino tannico che allappa la lingua. Sono giorni, mesi, forse qualche anno che tenere il punto sul laicismo mi affatica. Ho letto un romanzo l’anno scorso. In questo libro c’è un bambino che prega. Prega per la strada, davanti a una vetrina: è un gesto piccolo il suo, non c’è nulla di solenne; è un’immagine che rimane. Non tanto la preghiera quanto la sua fiducia, il senso di speranza, una specie di visione misteriosa della vita che io non ho, non ho mai avuto; o forse ho solo perso. Ho invidiato il bambino di quel libro.

 

Sono giorni, mesi, qualche anno che ne parlo sempre con lui, con F., l’amico che non c’è più, e c’è sempre, anche se non so esattamente dove sia. In verità non gli parlo di nessuna questione filosofica, gli dico delle mie paure e dei miei sogni, soprattutto delle fesserie che mi vengono in mente, così come quando eravamo amici e andavamo a bere un aperitivo. È l’unico con cui non ho mai tirato fuori la coerenza intellettuale, a lui della coerenza intellettuale non gliene fregherebbe nulla. Nelle nostre chiacchiere serali, mi dice sempre: se ti va, fallo; e non rompere. Sii felice. E quando dice così, mi sembra davvero di esserlo, felice.

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