La mia Barzini

Un’autentica rompicoglioni di totale bellezza, la madre che dice al figlio: sei un piccolo borghese

Giuseppe Fantasia

Beniamino Barrese ha vissuto, ha studiato, è cresciuto, ha capito. Come è logico, fino ai dieci anni, sua madre – Benedetta Barzini – era per lui semplicemente sua madre. Poi, di colpo, dopo aver ritrovato molte foto e ritagli di giornale che la riguardano, quella donna è divenuta anche per lui “la Barzini”, la figlia (e nipote) di una firma del giornalismo e di un’ereditiera, la donna che ha fatto impazzire mezzo mondo negli anni 60 e 70 sfilando per le più importanti case di moda e frequentando il jet set: i suoi amici erano Warhol, Capote, DalíDuchamp. A quella consapevolezza è seguita la nascita di un’ossessione nei suoi confronti, sublimata adesso con “La scomparsa di mia madre”, il documentario realizzato da Barrese, già presentato al Sundance Festival, in cui “la Barzini” è protagonista. “E’ tutta la vita che fotografo e filmo mia madre senza sapere perché”, si legge sullo schermo nero. “E’ stata la mia prima modella, la mia preferita. Quando mi ha detto che aveva deciso di andarsene e di non voler tornare mai più, ho capito che non ero pronto a lasciarla andare”. “Posso aiutarti?”, le domanda. “No”, gli risponde lei, che oggi è una splendida settantacinquenne dall’inconfondibile neo sulla gota. Beniamino l’ha ascoltata e, come fanno spesso i figli, le ha disobbedito. Le ha chiesto il permesso di filmarla. Si è sentito rispondere un altro “no”, che poi però è diventato un “sì”, “perché – gli confida lei – “dire di no avrebbe ferito te. Ho preferito ferire me”.

 

Il punto è stato capire il perché e, soprattutto, dove lei volesse nascondersi. Quella scelta – gli spiega poco prima di ritirare la medaglia d’oro per la benemerenza civica al Teatro Dal Verme che raggiunge in bicicletta – “consiste nell’andare nel modo contrario a quello che ho vissuto fin’ora”. “Tutto viene delegato alla fotografia e non alla memoria propria: a me interessa fermare le cose che non si vedono, a te quelle che si vedono”. “Non ho niente a che vedere con l’immagine, e tu tutto, è un problema insolvibile”. E’ una frase difficile da comprendere, perché è pronunciata da chi è stata sotto i riflettori e ha vissuto per anni di quelle luci. Adesso non vuole apparire, ma poi è lì, sul grande schermo, e continua a farlo. Nonostante la contraddizione, una spiegazione c’è. “Voglio avere il coraggio di farlo come unico regalo a me stessa, perché ho passato una vita di costrizioni come un animale addomesticato a quello che si usa e si fa”. “Volevo regalarmi una fine, che è il contrario di quello che ho vissuto fino adesso”. Quella fine, però, non è la morte, ma lo scomparire, che forse è anche peggio, eppure un lusso per chi lo fa. “Non è un suicidio: è un’altra vita”. Suo figlio, che chiama Ben, era l’unico che potesse capirla e permetterle una cosa simile.

 

Ha registrato per diversi mesi quella madre colta e intelligente che – come tutte le madri ingombranti e impegnative – è un’autentica rompicoglioni, consapevole di esserlo. Lui è il primo a saperlo, il primo a riderci su. Lo definisce “piccolo borghese” quando la invita a cambiarsi la maglietta, lo considera “una meraviglia di ingenuità da me messa al mondo”, lo rimprovera di essere “troppo didascalico”.

 

Fare questo film è stato un tentativo, per Ben, di trovare una risposta ricominciando a filmare sua madre proprio come faceva da piccolo. C’è lei che dorme, che si specchia, che si lava e che si trucca, che riflette o che si estrania, persino quando fa pipì in un bosco dopo aver nascosto le foto, perché odia la memoria. Ci sono i segni dell’età orgogliosamente mostrati sul volto, sul corpo e sul colore dei capelli che pettina svogliatamente e c’è ancora lei tra libri, fogli, carte e oggetti nella sua casa/studio milanese che tocca di rado un vecchio cellulare. C’è lei che dorme e che si incazza perché lui le ronza troppo attorno, e lui che le chiede scusa, fino alle lezioni di Antropologia della moda all’università raggiunta in metro (“ma è la Barzini?”, sussurra qualcuno). Le immagini scorrono: lei fuma spesso la sigaretta (la sua “compagna da sessant’anni”), incontra Lauren Hutton, mette da parte le buste di cartone, fa gli scatoloni. Ben è sempre lì a osservarla, a riprenderla fino ad arrivare, insieme con lo spettatore, nello spazio intimo in cui solo lui la conosce. Ci mostra i pregi e i difetti di Benedetta, la fa posare con il suo vestito blu preferito, ma, soprattutto, la fa ridere ancora fino a racchiuderla in quella che è la sua immagine più autentica: una donna libera, sua madre.

 

 

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