Foto tratta dal profilo Twitter @SeaWatchItaly

Se ragionare è impossibile, scegliamo la “sbruffoncella”

Annalena Benini

Una comandante che ha 42 persone a bordo, un ministro dell’Interno che la insulta. Meglio Antigone

Se un ragionamento non è più possibile e si può quindi soltanto scegliere fra un ministro dell’Interno che dice “mi sono rotto le palle”, e “sbruffoncella pagata da chissà chi”, e “arrestatela”, fra Giorgia Meloni che dice: affondate la nave, fra le migliaia di insulti sui social (annegate, mentecatta, crucca, stronza), e una comandante che non ha insultato nessuno e sta cercando di salvare quarantadue persone allo stremo delle forze, allora la scelta è fatta. Carola Rackete è al porto di Lampedusa, ha chiesto il permesso di entrare, glielo ha negato Malta (che in proporzione alla popolazione accoglie più migranti rispetto all’Italia), la Tunisia non ha una legislazione in merito e ha già tenuto una nave davanti al porto per settantacinque giorni, l’Olanda è lontana e non collabora, Lampedusa è qui ed è un porto sicuro: a bordo della nave ci sono tre minorenni, un bambino di undici anni, e il comandante Carola Rackete ha fornito i documenti, ha chiesto accoglienza, ha scritto dieci mail al giorno, ha detto: non siamo scafisti, non siamo un pericolo per la sicurezza. Ha detto anche, in un’intervista a Repubblica: “Ora gli altri rimasti a bordo ci chiedono quanto dolore bisogna provare per poter scendere a terra”. Carola Rackete, trentun anni, attivista, ufficiale di navigazione da otto anni, ha guidato le navi rompighiaccio, si è laureata in Inghilterra, parla cinque lingue compreso il russo, il francese, lo spagnolo, e secondo Matteo Salvini e molti odiatori sui giornali e sui social ha anche la colpa di essere ricca. Quindi figlia di papà, quindi sbruffoncella, quindi in cerca del “palcoscenico dei migranti”. Se un ragionamento non è più possibile e quindi i poveri possono annegare e i ricchi devono nascondersi e stare immobili, silenziosi e indifferenti, perché ogni loro azione verrà ridicolizzata, insultata, demolita, allora la scelta di stare con la comandante della Sea Watch è fatta. Soprattutto per un dato semplice e inoppugnabile: quarantadue persone a bordo.

 

Antigone ha ragione, soprattutto quando lo stato le risponde con gli sberleffi. Antigone ha ragione anche se l’idea assoluta di open borders della SeaWatch non può funzionare, anche se la sfida alla legge dello stato si gioca su un altro, opposto, desiderio di consenso e di contrasto che contrappone una giovane donna alla guida di una nave a un ministro che ha promesso: niente più sbarchi (anche il 26 giugno sono scesi a terra altri cinquantacinque migranti).

  

Entrambi usano la loro retorica, e un’idea del mondo e dell’eroismo, e però anche della responsabilità. E siccome Carola Rackete sa di avere la responsabilità di quelle quarantadue persone sulla nave, e per quelle quarantadue persone non dorme la notte e si tormenta di giorno, e prima aspetta e poi disubbidisce a una legge senza sotterfugi, caricandosi sulle spalle le conseguenze, calcolandole, e spiegando che non può fare altrimenti, ma senza (per ora) parole di sfida, solo parole di preoccupazione per gli esseri umani in ostaggio sulla sua nave, persone fuggite dalla Libia e allo stremo delle forze, e intato Matteo Salvini, ministro su Twitter e in tivù, “si è rotto le palle” e questa sbruffoncella perché viene a rompere le palle in Italia, e deve andare in galera, allora se devo per forza scegliere un modello di disubbidienza alle regole, scelgo quello serio di Carola Rackete.

  

Se mia figlia mi chiederà chi ha ragione, risponderò che ha ragione Carola Rackete. Che è complicato, ma lei ha ragione. Per le persone che ha con sé, più deboli di lei, più stremate di lei, ma anche per gli insulti che le hanno rovesciato addosso, e perfino per la strumentalizzazione uguale e contraria, quella che la trasforma in fiera oppositrice del governo italiano, salvatrice della nostra dignità e umanità, perfino del nostro futuro politico. Si sfrutta una storia, ognuno ai propri fini, ci si serve di una donna coraggiosa che guida una nave in porto, o di un ragazzo coraggioso che difende i rom di fronte a un militante di CasaPound a Torre Maura, ci si affida a un eroe, offrendogliene immediatamente la patente e facendo il tifo, per sentirsi a posto con il proprio senso di giustizia e di coscienza. Si semplifica, si trova uno slogan: un eroe da esaltare oppure un nemico da distruggere. Sbruffoncella oppure Capitana.

  

Però se la sfida è questa, se il livello è questo, e se una trentenne viene accusata di essere ricca e laureata ed europea, e quindi vacua e forse perfino intellettuale, visto che ha citato i pensatori greci e romani sull’importanza della vita umana, accusata di avere studiato, di avere viaggiato, di avere navigato, di parlare tante lingue, di avere scelto un passatempo (gli scafisti quindi sono più rispettabili di lei), se lei è la regina dei pirati che dice: speriamo ci facciano scendere, queste persone sono distrutte e sono sotto la mia responsabilità, allora il consenso e la speranza andranno sempre alla regina dei pirati.

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.