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L'autonomia che scuote il Pd. Un altro modello è possibile?

Daniele Bonecchi

Superare il disastro (Delrio) della Città metropolitana, dice Bussolati. Ma le divergenze pesano

Nelle retrovie del Partito democratico qualcosa si muove. Senza lesinare incertezze e divergenze: una specialità della “ditta”. Se le manovre per le primarie e il congresso coinvolgono i candidati alla segreteria e le rispettive truppe locali da un lato, dall’altro un Carlo Calenda formato panzer va avanti con la sua proposta europea in quel di Lombardia. Ma il Pd lombardo, forte della presenza di un sindaco determinato come Beppe Sala, e non riconducibile alle dinamiche di partito, gioca la carta dell’autonomia e del federalismo. Anche se in salsa diversa da quella di Attilio Fontana.

 

Perché dopo quel 59,11 per cento di No al referendum costituzionale di Matteo Renzi, oltre al tracollo politico, si è aperta una voragine, che si chiama legge Delrio. “Va superata la legge Delrio, pensata in un’epoca in cui si contava su di un esito diverso sul referendum costituzionale”, spiega Pietro Bussolati, alla guida del Pd milanese negli anni dell’egemonia renziana, oggi consigliere regionale di sfondamento. “Oggi va ripensata la realtà delle autonomie, valutando il ruolo delle città metropolitane.

 

Occorre valutare se non si debba provare con l’elezione diretta del sindaco metropolitano (oggi votato dai consiglieri comunali dell’area) superando una dicotomia che è sotto gli occhi di tutti. Serve un cantiere sulla legge Delrio, subito. E occorre giocare la carta dell’efficienza, che non è nord contro sud. L’autonomia non deve permettere di trattenere risorse sul territorio sulla base del reddito degli abitanti, perché così cade il principio di unità nazionale. Serve poi la responsabilizzazione di regioni e città metropolitane, che non siano sovrapposte tra di loro, su questo bisogna mettere mano alla Carta costituzionale e forse anche ai confini delle regioni, per aprire il capitolo delle macro regioni”, spiega Bussolati.

 

 Il segretario regionale del Pd in Lombardia, Pietro Bussolati (Foto Imagoeconomica)


 

Ed è qui che sono nati i conflitti più recenti: Sala contro Fontana e Davide Faraone (deputato Pd della Sicilia) contro Vinicio Peluffo (segretario regionale Pd). “Tutto il Pd deve battere un colpo e dire chiaramente no a chi vuol spaccare il paese in due. I tre candidati alle primarie si schierino contro questa secessione dei ricchi che mina l’unità nazionale, la convivenza, i princìpi di uguaglianza e di solidarietà sanciti dalla Costituzione. Che taglia le gambe al Mezzogiorno, alle imprese e alle famiglie del sud”, posta Faraone su Facebook, incalzando: “Non ci serve un Pd a trazione nordista”. Gli ha risposto a stretto giro di social Peluffo: “Non si tratta di secessione ma di responsabilizzazione delle regioni, all’interno di un riconoscimento dell’autonomia degli enti territoriali”. Il segretario lombardo del Pd, Vinicio Peluffo, chiede insomma al suo partito di “evitare dibattiti caricaturali” a proposito dell’autonomia alla quale lavorano Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto.

 

Secondo Peluffo, le istanze autonomiste fanno parte del “patrimonio della nostra parte politica e delle tradizioni che le hanno dato vita”. Anche perché, schierato coi governatori del nord a favore dell’autonomia differenziata c’è Stefano Bonaccini, governatore a Bologna della ex roccaforte rossa. “L’Emilia-Romagna ha avanzato una sua proposta per ottenere maggiore autonomia – spiega Bonaccini – nel pieno rispetto della Costituzione, dell’unità nazionale, principio per noi sacro e inviolabile, e della solidarietà fra territori. Una proposta condivisa fin dall’inizio con le forze sociali, sindacati e imprese, i territori, le università e le associazioni del Terzo settore, tutti soggetti riuniti nel Patto per il lavoro, e discussa a ogni passo in Assemblea legislativa, dove mai c’è stato un voto contrario da parte delle forze politiche, con anzi correzioni accolte e presentate dalle opposizioni. Una proposta che premia una Regione virtuosa e con i conti in ordine, che vuole continuare a crescere facendo crescere il paese, non certo spaccarlo”, conclude il presidente. Più esplicito di così.

 

Il governatore della regione Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini (Imagoeconomica)


  

Ma a lanciare saette contro il “neo centralismo regionale” c’è soprattutto Beppe Sala, che ha digerito male lo stop di Fontana all’aumento delle tariffe Atm di Milano e chiede più autonomia delle grandi metropoli. “Ho deciso di promuovere, nei prossimi giorni, un dibattito con Sala e Bonaccini sul tema dell’autonomia differenziata e ruolo delle città”, spiega ancora Bussolati. “I due elementi non sono in contrasto. Se non c’è autonomia dalla parte del comune le cose si complicano, un esempio è quello del biglietto Atm.

 

Se il sindaco di Milano non è in grado di utilizzare le proprie leve per avere un servizio a livello delle capitali europee, ed è obbligato a sottostare al potere della regione, il discorso dell’autonomia viene meno. L’autonomia differenziata è un passo avanti ma è monca della riflessione che serve sulle città”. “Sbaglia chi si oppone al concetto di autonomia, ma la bozza d’intesa che circo è ambigua sulla distribuzione di competenze e risorse. Scontenta sia le regioni del nord che quelle del sud. Detto questo anche il Pd dovrebbe darsi un futuro federale, non per dire cose diverse tra nord e sud, ma è evidente che servono gradi di autonomia diversi, penso a Milano e alle reali esigenze che manifesta. Tra qualche decennio, in Europa l’80 per cento delle persone vivrà nelle aree urbane. In futuro serviranno strumenti e maggiore autonomia per queste aree”, conclude Bussolati.

 

E mentre la proposta del governo, lacerato tra neocentralisti (M5s) e autonomisti (Lega), langue e potrebbe essere rinviata, i consiglieri regionali, a larga maggioranza (Lega, FI, Pd) inviano una lettera a tutti i parlamentari per sensibilizzarli sull’importanza dell’autonomia e del regionalismo differenziato e sulla necessita' di dare concretezza in tempi rapidi al percorso avviato dalla regione con il governo dopo il referendum del 22 ottobre 2017. “Le Regioni – scrivono i consiglieri – dovranno dimostrare di gestire le nuove competenze meglio di quanto fatto dallo stato centrale, nell’ottica di generare risparmi e garantire servizi migliori ai cittadini. Non saranno perciò ridotte le risorse che assicurano la solidarietà nazionale: in altre parole, non vi sarà nessuna ‘secessione dei ricchi’ come paventato strumentalmente da qualcuno”. Nella speranza che tutto non affoghi nei regolamenti di conti post amministrative del governo.

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