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Cosa chiedono con l'autonomia differenziata Emilia Romagna, Lombardia e Veneto

Mariarosaria Marchesano

Si va verso una forma di “sovranità regionale” con “una cessione molto forte di poteri da parte dello stato centrale”, spiega Cerniglia della Cattolica di Milano

Il Veneto ne ha chieste 23. La Lombardia 20. L’Emilia Romagna 16. Sono competenze e poteri rivendicati dalle tre regioni nelle intese che separatamente sono state raggiunte con la presidenza del Consiglio e che dovrebbero inaugurare il percorso per raggiungere la cosiddetta autonomia differenziata. Tralasciando il terreno politico – sul quale, ovviamente, si misurerà la fattibilità del progetto caro alla Lega – che cosa vuol dire esattamente “estrarre” tali competenze e poteri dallo stato centrale? Secondo Floriana Cerniglia, direttore del centro di ricerca e analisi economica Cranec dell’Università Cattolica di Milano, si andrebbe nella direzione di una “sovranità regionale” che implica “una cessione molto forte di poteri da parte dello stato centrale”. Questa interpretazione è particolarmente calzante per Veneto e Lombardia, e soprattutto per la regione guidata da Luca Zaia, che punta a ottenere il massimo possibile di funzioni che oggi sono prerogativa dei ministeri competenti, dall’istruzione alla tutela dell’ambiente, dall’alimentazione alle infrastrutture, dal trasporto al credito. La Lombardia, nella versione dell’intesa approvata, sembra aver rinunciato alle competenze su casse rurali, di risparmio e aziende di credito a carattere locale, mentre la regione guidata da Stefano Bonaccini ha presentato la richiesta di ‘exit’ dallo stato più soft.

          

Tutte e tre le regioni, invece, intendono portare sotto il proprio potere amministrativo l’istruzione. “Si tratta a mio avviso di un’impostazione estrema. Prima che lo stato si spogli di tutte queste competenze, occorrerebbe dimostrare, con analisi caso per caso, che le regioni sono più efficienti nella gestione dei settori sui quali si rivendica l’attribuzione di competenze e delle relative risorse – dice la professoressa Cerniglia – è anche una questione di metodo, non ci sono studi con basi scientifiche che lo dimostrino”.

    

Sul sito del ministero per gli Affari regionali è stata evidenziata la spesa statale regionalizzata per istruzione scolastica, universitaria e diritti sociali [vedi tabelle qui]. Riguardo a quanto sborsato per abitante, ai primi posti figurano Bolzano, Valle d’Aosta, Trento e la Sardegna, mentre Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono ultime in classifica. Si comprende, dunque, perché queste tre regioni ambiscano a gestire in modo autonomo il settore. “L’effetto del trasferimento delle competenze – prosegue la docente della Cattolica – si tradurrebbe anche nella modifica dello status degli insegnanti, che dal ruolo dello stato passerebbero al ruolo delle regioni. L’istruzione è una competenza regionale in altri paesi del mondo, quindi si può discutere di decentrarla o meno, ma a questo punto bisognerebbe domandarsi perché la stessa cosa non potrebbe essere fatta anche per le altre regioni. Ripeto, c’è un problema di verifica ex ante del maggior grado di efficienza che questo processo comporta”.

   

Come fa notare Ettore Jorio, docente di Diritto civile della Sanità presso l’Università della Calabria (ha collaborato con Luca Antonini, oggi giudice della Corte Costituzionale, alla commissione Copaf per il federalismo fiscale nel periodo 2009-2013), “la richiesta di competenze e poteri da parte delle tre regioni è connessa all’attribuzione delle relative risorse e ovviamente istruzione e sanità sono i settori che consentirebbero una redistribuzione dei trasferimenti in favore dei tre enti interessati. Va detto, però, che rispetto alle bozze che sono circolate nei giorni scorsi, la versione finale degli accordi appare affievolita”. Un punto sul quale concorda la professoressa Cerniglia, la quale fa notare, per esempio, che la definizione di costi e fabbisogni standard è affidata a un comitato a cui partecipano tutte le regioni e non più a una commissione tra stato e le tre regioni richiedenti, come previsto in una bozza precedente. “Un altro aspetto sul quale occorrerebbe fare una riflessione è l’effetto congiunto Quota 100-autonomia regionale differenziata – conclude il professore Jorio – Se camminassero di pari passo, si svuoterebbero i dipendenti dello stato e si riempirebbero gli uffici regionali di nuovi assunti”.