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Differenziare le regioni?

Il paradosso di un governo che, in nome di più democrazia, assicura meno trasparenza e meno democrazia. Parla Cassese

Professor Sabino Cassese, differenziare o non differenziare le regioni: questo è il problema.

Non semplice. Le regioni differenziate, quelle ad autonomia speciale, hanno ragioni storiche e geografiche. Storiche: pensi al separatismo siciliano, che spinse a dotare la Sicilia di uno statuto costituzionale prima della stessa Costituzione. Geografiche: pensi al Trentino Alto Adige e all’accordo De Gasperi-Gruber. 

   

L’autonomia ora richiesta, come prevede la norma costituzionale del 2001, in base a quale criterio dovrebbe essere riconosciuta?

Il primo problema, che finora nessuno ha discusso, è il seguente: qual è il criterio per dare a una regione e non a un’altra un’autonomia differenziata? Perché lo stato dovrebbe accedere a una intesa con una regione e non con un’altra regione? Perché la regione è più efficiente; perché lo stato non riesce a essere efficiente in quella regione? Il presidente Zaia adopera sempre l’argomento dell’efficienza: date al Veneto più autonomia perché il Veneto ha una migliore sanità pubblica. Questo consente una prima conclusione: si sta parlando di differenziazione senza aver stabilito preliminarmente alcun criterio. E’ necessario avere una bussola prima di addentrarsi nella differenziazione.

       

Lei è quindi favorevole alla differenziazione?

Autonomia vuol dire differenziazione. Si conferisce autonomia a enti regionali perché possano decidere separatamente e quindi differenziarsi tra di loro e nei confronti dello stato. Le regioni sono state istituite per rompere da un lato il centralismo e dall’altro l’uniformità, proprio per consentire differenziazione. Se questo è il motivo ispiratore dello stesso istituto regionale bisogna, però, dire che nell’esperienza fatta dal 1970 in poi le regioni hanno utilizzato l’autonomia per differenziarsi nella gestione, non nella legislazione. In generale, le leggi regionali si sviluppano per imitazione. Alcune regioni adottano leggi regionali, altre copiano o adattano. La differenziazione di cui ora si discute, però, è di tipo diverso. E’ possibile parlare di una differenziazione endogena (ogni regione prende la sua strada) e di una differenziazione esogena (la regione prende una strada indicata dallo stato con l’intesa, seguita dalla legge).

    

Se autonomia vuol dire differenziazione, perché tanto chiasso, visto che l’autonomia regionale ha ormai quasi cinquant’anni di vita in Italia?

Stiamo parlando, sostanzialmente, di una modifica della Costituzione. Si tratta di distribuire in modo diverso, per alcune regioni, funzioni allocate dalla Costituzione in modo uniforme per tutte le regioni. Per questo la Costituzione richiede che la legge sia preceduta da intesa con la regione interessata, sia approvata a maggioranza assoluta e detti le forme e condizioni ulteriori di autonomia.

    

Tutto molto semplice. Allora, perché si parla della “secessione dei ricchi”?

Perché si è partiti con il piede sbagliato, e cioè con il tema del residuo fiscale: le imposte pagate in Lombardia o in Veneto debbono restare in Lombardia o in Veneto. Successivamente, in modo oscillante, sono stati indicati tre criteri: spesa storica, fabbisogni standard e valore medio nazionale pro capite. Insomma, Lombardia e Veneto hanno proposto la differenziazione non per avere maggiori compiti ed esercitarli meglio, ma per disporre di più risorse, a danno delle altre regioni. E questo in forma contraddittoria con l’affermazione fatta per ottenere la differenziazione, quella della maggiore efficienza. Per cui l’argomento potrebbe essere rovesciato: le regioni più efficienti abbiano minori risorse, visto che sono in grado di fare meglio con minori costi. Infine, per quanto riguarda le risorse, nelle bozze di intesa si legge: “Personale, finanza e sedi degli uffici scolastici regionali e degli uffici di ambito territoriale sono trasferiti alla regione”. Poi si consente ai dipendenti di optare per rimanere nei ranghi statali. Quale effetto avrà questa scelta sulla gestione del bilancio pubblico? Le persone che opteranno per restare nello stato, graveranno sul bilancio statale e riempiranno i ranghi degli impiegati statali, non sempre riuscendo a trovare un posto idoneo. Il personale sarà raddoppiato, e così pure la spesa. Quindi, la frase che si legge nelle intese, per cui la differenziazione non comporta oneri per il bilancio, non è veritiera.

     

Da quel che dice, capisco che lei non è contrario, in linea di principio, al riconoscimento di autonomia diversificata, ma ritiene che ci si stia arrivando nel modo sbagliato, senza fissare criteri preventivi e senza valutare i costi.

Di più, con una procedura sbagliata. Incontri e intese senza informazioni, senza alcuna pubblicizzazione, concepite come intese tra stati o tra stato e confessioni religiose. Possibile configurare i rapporti tra stato e regioni come se queste ultime fossero ordinamenti giuridici originari? Questo è un vizio capitale della impostazione data alle intese governo centrale-regioni. E questo vizio se ne porta appresso un altro. La norma costituzionale dispone: “Sulla base di intese”. Quindi, non si tratta di una legge rinforzata, ed è quindi emendabile dal Parlamento.

    

E la richiesta che altre regioni rivolgono?

Ulteriore problema, che fa capire l’improvvisazione con la quale si è proceduto. Pare che, a questo punto, tutte le regioni vogliano differenziarsi, salvo due o tre. Con la conseguenza che bisognerebbe stabilire un ordine nella differenziazione, per evitare un vestito da Arlecchino. Qui si capisce l’errore fatto dal governo, di non svolgere una consultazione preventiva generale, fissando criteri generali e facendo partecipare tutte le regioni, alla luce del sole. Paradosso di un governo che, in nome di maggiore democrazia, assicura molta minore trasparenza e democrazia.

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