Matteo Salvini (foto LaPresse)

La guerra dei dossier nel M5s salva la faccia a Salvini sull'autonomia

Valerio Valentini

Il leader della Lega in affanno per le pretese del Veneto. I grillini in lotta tra sudisti e nordisti si dedicano all’autolesionismo

Roma. A qualcuno, tra i grillini, deve essere sembrato che il gran baccano sorto attorno al tema delle autonomie non fosse già abbastanza caotico. O che, all’interno del M5s, il subbuglio non fosse già sufficientemente pericoloso per la tenuta del partito. E allora ecco che, a colorare di surreale autolesionismo anche questa polemica, è sorta pure la baruffa dei dossier. L’ultimo, arrivato sotto forma di questionario, se lo sono visti recapitare nei giorni scorsi i vari ministri e sottosegretari grillini. Li si invitava, in buona sostanza, a indicare le proposte di modifica alla bozza elaborata dal ministro leghista per gli Affari regionali, Erika Stefani, d’intesa con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. A elaborare il documento è stato proprio il vice della Stefani, il sottosegretario grillino Stefano Buffagni, che ha spiegato ai suoi colleghi la necessità di adottare, finalmente, “un metodo di lavoro condiviso”. Capitava spesso, spiegano infatti nel M5s, che le critiche delle varie strutture tecniche coinvolte non venissero recepiti dal governo. E però, al contempo, l’iniziativa di Buffagni è parsa a molti suoi colleghi di governo “tardiva”, visto che di riunioni tra Stefani e i vari dicasteri ce ne sono già state una novantina. E il malessere è bastato a rendere agitata una giornata che, per il M5s era cominciata già in maniera assai tribolata.

 

Ieri mattina, infatti, la Stefani è stata audita dalla commissione bicamerale per le Questioni regionali. E si è trovata a dovere replicare, tra gli altri, a un grottesco intervento della senatrice Laura Granato. “Il fabbisogno storico – ha incalzato l’insegnante catanzarese, con una strana crasi tra costo storico e fabbisogno standard – non corrisponde quanto in effetti spetterebbe alle varie regioni perché in molte regioni alcuni servizi non sono mai stati erogati proprio perché le amministrazioni locali non sono efficienti”. Una critica che, a ben vedere, è un perfetto manifesto involontario pro autonomia.

 

Un cortocircuito che, a suo modo, dà la misura dello stato confusionale con cui, nel M5s, si sta fronteggiando una materia che in pochi dimostrano di conoscere. Quanto il clima sia travagliato lo ha dimostrato anche la rabbia con cui martedì sera Federico D’Incà – deputato bellunese del M5s, fautore dell’autonomia da anni e tra i pochi ad avere un rapporto di confronto franco con la Stefani pur non avendo responsabilità di governo – ha strappato, in diretta tv su una emittente veneta, un altro dossier: quello, sempre di matrice grillina, sui rischi legati all’autonomia che creerebbe “cittadini di seri A e di serie B”. “Tutte cazzate”, ha sentenziato D’Incà, accanendosi con un documento anonimo, piuttosto sconclusionato, fatto circolare da qualche “manina” del M5s nel tardo pomeriggio del 14 febbraio, pochi minuti prima dell’inizio del Consiglio dei ministri. A ispirare quel report è stato, secondo quanto raccontano i grillini in Transatlantico, il senatore Vincenzo Presutto, commercialista napoletano che si è intestato il compito di condurre l’opposizione al disegno leghista per l’autonomia. E così, mentre in Veneto e Lombardia il M5s si batte sin dal 2017 per l’autonomia, i parlamentari grillini meridionali si votano al sabotaggio. “Ci tolgono le castagne dal fuoco”, se la ridono gli uomini di governo della Lega, che hanno buon gioco a scaricare sulla schizofrenia a cinque stelle le colpe delle lungaggini che, specie in Veneto, la base del carroccio lamenta da tempo. Anche per questo, Salvini ha voluto incontrare ieri al Viminale i Luca Zaia e Attilio Fontana, oltre alla stessa Stefani: ai governatori di Veneto e Lombardia il vicepremier ha garantito che, nel giro di una settimana, si farà consegnare i testi delle disegno di legge sull’autonomia, su cui poi troverà un accordo col premier Giuseppe Conte e col capo del M5s, Luigi Di Maio. Ci ha messo la faccia, Salvini, sapendo già che poi potrà, alla bisogna, additare nell’alleato riluttante la causa degli eventuali ulteriori ritardi.