Cippo centrale del Giardino dei Giusti di tutto il mondo di Milano (Foto Wikipedia)

Lo sfascismo grillino contagia anche il Giardino dei Giusti di Milano

Maurizio Crippa

Lo stop di Bonisoli al restyling di Monte Stella è brutto caso, ma significativo. Sotto le polemiche architettoniche strisciano cattive idee

Dal 19 novembre 2015 tra gli alberi del Giardino dei Giusti sul Monte Stella di Milano ce n’è anche uno piantato in memoria di Khaled al-Asaad, il “custode di Palmira”, l’archeologo il 18 agosto di quello stesso anno era stato ucciso, decapitato e poi “mostrato al mondo” dai terroristi dell’Isis: colpevole di aver difeso quel luogo bene comune della cultura e dell’umanità. E’ utile ricordarsene, non per fare graduatorie tra Giusti, ma perché la vicenda di Khaled al Asaad porta una data molto recente, non parla di una “memoria” che alcuni ritengono superflua, ma della nostra attualità, del nostro prendere posizione nel mondo, anche come paese. Il Giardino dei Giusti esiste dal 2003 e di questo racconta a chi lo visiti. Perciò c’è molto da eccepire sul recente intervento, pochi giorni fa, del ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli che ha comunicato al comune di Milano (cofondatore del Giardino) e alla Associazione Gariwo la sospensione dei lavori di riqualificazione del sito, già approvati da tempo.

 

Il Mibact ha notificato la sua decisione alla Soprintendenza ai Beni culturali di Milano: la stessa che solo pochi mesi fa, dicembre 2018, aveva dato il suo benestare. La forzatura di Bonisoli, tecnico che si è già dimostrato assai sensibile alle idee dell’arcipelago conservatorista (da Italia Nostra ai comitati “no tutto”) che si specchia nel M5s, è tanto sbagliata nei tempi e nei modi quanto grave e significativa, perché non nasce a caso. Rappresenta un’ingerenza tecnicamente immotivata: il progetto è stato approvato tre volte dalla Conferenza dei servizi, tre volte dal comune, e ha superato un ricorso al Tar. E una forzatura rispetto a una legittima decisione del comune, come ha replicato l’assessore all’Urbanistica, Pierfrancesco Maran (“altro che autonomia differenziata”, ha scritto polemicamente). Nasce da un vecchio contenzioso di accademia, e finisce per rasentare l’incidente diplomatico.

  

Fra i primi a protestare contro il ministro c’è stata la Comunità ebraica milanese, ricordando il ruolo educativo del Giardino, testimoniato anche dall’ambasciatore di Israele in visita di recente proprio per vedere i lavori di riqualificazione. Gardens of the Righteous Worldwide (Gariwo), la Foresta dei Giusti, è stata fondata a Milano nel 1999 dallo storico Gabriele Nissim e da Pietro Kuciukian, medico e attivista della comunità armena, sul modello dello Yad Vashem, ma è dedicato al ricordo dei Giusti di tutti i genocidi. Dal 2003 ogni anno si piantano nuovi alberi e si pongono targhe con i nomi. Ma, scrisse qualche anno fa Gabriele Nissim, “purtroppo chiunque oggi passeggiasse lungo il Viale dei Giusti si accorgerebbe che il Giardino non è così bello e armonioso”: cresciuto e un po’ inselvatichito, e soprattutto senza un luogo adatto per poter raccogliere le centinaia di scolaresche che vengono in visita. È nato così il progetto di risistemazione, che comprende un piccolo anfiteatro (250 posti). Ma la polemica era subito scoppiata.

 

Monte Stella non è un luogo qualsiasi: è stato costruito ammassando le macerie degli sbanchi del Dopoguerra. L’idea di trasformarli in una collinetta, che fosse anche una sorta di laico sacrario verde alle vittime dei bombardamenti, fu di Piero Bottoni, l’architetto che progettò lì attorno l’avveniristico quartiere QT8. I custodi ufficiali della memoria di Bottoni (esiste un archivio a lui dedicato al Politecnico) iniziarono subito una polemica conservativa. Con qualche ragione, del resto accolta in parte dal progetto, e qualche esagerazione: si è arrivati a sostenere che non si possano toccare le balze della collinetta, come non si farebbe per Boboli. Soprattutto, con un eccesso di zelo difficilmente giustificabile, nei toni, si è arrivati a contestare la funzione “pedagogica ed educativa” del luogo, e le “forzature pedagogico-politiche tra il pedante, il didascalico e il paternalistico”. C’è un evidente eccesso, sull’idea che non si possa toccare mai niente.

 

Ma questa piccineria accademia si salda, politicamente, con il mondo iperconservativo che gira attorno al M5s e insuffla le scelte al ministro. Altri due casi: lo stop imposto da Bonisoli a un intervento a Palazzo dei Diamanti a Ferrara, e quello analogo sui lavori della metropolitana a piazza Plebiscito a Napoli. Bonisoli ha approfittato per intervenire a gamba tesa (sono amministrazioni di sinistra), un gioco al limite del cartellino giallo, diciamo. Come al limite del cartellino giallo c’è il fatto che ha permesso a Bonisoli di intervenire: un mese dopo il via libera della Soprintendenza per il Giardino dei Giusti, è partita la trafila per fare del QT8 (un intero quartiere!) un sito monumentale protetto e intangibile: la pratica giaceva da anni.

 

Ma fosse l’unico problema. Il Giardino dei Giusti, per la prima volta al mondo, condivide tutte le memorie plurali del coraggio civile, è un luogo a suo modo unico e attuale. Dietro all’insofferenza verso un intervento di sviluppo conservativo in realtà minimale – riguarda settemila metri quadrati su un’area di oltre 300 mila, e non particolarmente bene tenuta – c’è una larvata, nebulosa, insofferenza per la cosa in sé. L’architetto Graziella Tonon, curatrice dell’Archivio Bottoni, è arrivata a scrivere, delle strutture segnaletiche-informative previste dal restyling, che i “volgari totem” saranno messi lì “a segnalare che quella parte del Monte non appartiene più al Memoriale della Milano martoriata dalla guerra, ma a un altro Memoriale: il Memoriale dedicato ai Giusti di tutto il mondo”.

 

E anche: “Se i Giusti potessero essere interpellati, sicuramente non potrebbero approvare un intervento che si configura come un atto vandalico, che ferisce la bellezza, che stravolge il senso di un Monumento civile, che genera sofferenza nei cittadini”. Bonisoli ha detto che il Monte Stella “è, di fatto, il monumento alle sofferenze di Milano durante la guerra”. Come se questo significasse che non può ospitare un luogo come il Giardino dei Giusti. Ma questo è il brodo di coltura in cui spesso sguazzano i comitati “no qualcosa” cari ai grillini, che sono da anni, anche nel caso del Giardino dei Giusti, la clacque di un’insofferenza che è difficile etichettare come solo architettonica. In Consiglio comunale – dove il progetto è sempre stato sostenuto da tutti – l’unico a plaudire al niet del ministro è stato il consigliere M5s Gianluca Corrado.

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  • Maurizio Crippa
  • "Maurizio Crippa, vicedirettore, è nato a Milano un 27 febbraio di rondini e primavera. Era il 1961. E’ cresciuto a Monza, la sua Heimat, ma da più di vent’anni è un orgoglioso milanese metropolitano. Ha fatto il liceo classico e si è laureato in Storia del cinema, il suo primo amore. Poi ci sono gli amori di una vita: l’Inter, la montagna, Jannacci e Neil Young. Lavora nella redazione di Milano e si occupa un po’ di tutto: di politica, quando può di cultura, quando vuole di chiesa. E’ felice di avere due grandi Papi, Francesco e Benedetto. Non ha scritto libri (“perché scrivere brutti libri nuovi quando ci sono ancora tanti libri vecchi belli da leggere?”, gli ha insegnato Sandro Fusina). Insegue da tempo il sogno di saper usare i social media, ma poi grazie a Dio si ravvede.

    E’ responsabile della pagina settimanale del Foglio GranMilano, scrive ogni giorno Contro Mastro Ciliegia sulla prima pagina. Ha una moglie, Emilia, e due figli, Giovanni e Francesco, che non sono più bambini"