La riforma Nordio arriva sul tavolo di Mattarella dopo lo scontro tra governo e toghe

Ermes Antonucci

Il primo pacchetto di riforma del Guardasigilli attende l’autorizzazione del presidente della Repubblica per la presentazione al Parlamento. Il testo depotenziato dallo scontro con toghe e Anm

Terminata la settimana di visite ufficiali in America latina, tra Cile e Paraguay, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto ritorno in Italia, trovando un clima di rinnovato scontro tra politica e magistratura. Uno dei principali atti sul tavolo del capo dello stato – che è anche capo del Csm – è proprio il disegno di legge di riforma della giustizia promosso dal Guardasigilli Carlo Nordio. Il provvedimento, varato il 15 giugno dal Consiglio dei ministri, ha ricevuto la bollinatura della Ragioneria dello stato soltanto la scorsa settimana e ora attende l’autorizzazione del presidente della Repubblica per la presentazione al Parlamento. Il ddl dovrebbe poi iniziare il suo iter dal Senato. Le tensioni emerse tra politica e toghe hanno sovraccaricato di significato un progetto di riforma che, nella sostanza, non contiene proposte di modifica  della giustizia così radicali.

 

Il ministro  Nordio, infatti, ha sempre immaginato una riforma della giustizia composta da due parti: la prima, da presentare entro l’estate, incentrata su alcuni dei principali guai che attanagliano la giustizia italiana (i reati che rallentano o bloccano la Pubblica amministrazione, l’abuso della carcerazione preventiva, lo sputtanamento dovuto alla diffusione di intercettazioni irrilevanti). La seconda parte, da realizzare dopo l’estate, dovrebbe essere invece la più impegnativa, riferendosi alla riforma delle norme della Costituzione che riguardano il Csm, l’obbligatorietà dell’azione penale e la separazione delle carriere fra pubblici ministeri e giudici.

 

Il primo pacchetto di riforma, approvato dal Cdm il 15 giugno, ha rispettato più o meno le aspettative. Il testo prevede l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, considerato una delle principali cause della cosiddetta “paura della firma” nella Pubblica amministrazione. Il reato di traffico di influenze illecite viene invece meglio definito e tipizzato, anche qui per andare incontro alle numerose richieste giunte dagli amministratori pubblici. Sulle intercettazioni le modifiche mirano a “rafforzare la tutela del terzo estraneo al procedimento rispetto alla circolazione delle comunicazioni intercettate”, con disposizioni che però non appaiono essere così radicali. Per quanto riguarda le misure cautelari si introduce il principio del contradditorio preventivo “in tutti i casi in cui, nel corso delle indagini preliminari, non risulti necessario che il provvedimento cautelare sia adottato ‘a sorpresa’”. Si prevede, poi, che “il giudice per le indagini preliminari decida in formazione collegiale sull’adozione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere”. Rilevante, infine, la modifica che limita il potere d’appello del pubblico ministero rispetto a sentenze di proscioglimento relative a reati di contenuta gravità.    

 

Più che i contenuti del primo pacchetto di riforma, poi non così rivoluzionari, sono stati alcuni interventi pubblici ascrivibili al governo e al ministero della Giustizia a causare un’ondata di tensioni tra politica e magistratura. Sulla scia dei casi Santanchè e Delmastro, giovedì sera Palazzo Chigi ha accusato con una nota una parte della magistratura di “svolgere un ruolo attivo di opposizione”. Il giorno dopo è toccato a “fonti di Via Arenula” criticare le ultime iniziative  delle toghe, nella prima nota affermando che il caso che ha coinvolto il sottosegretario Delmastro impone una riforma dell’istituto dell’imputazione coatta, nella seconda nota  sostenendo l’urgenza di una riforma dell’iscrizione del registro degli indagati e dell’informazione di garanzia, prendendo  spunto dal caso Santanchè.

 

Le modalità con cui queste critiche sono state rivolte alla magistratura non hanno reso un buon servizio alla causa del ministro Nordio, peraltro impegnato in quelle ore a Tokyo al G7 dei ministri della Giustizia.   

Questi interventi, pur non riguardando in alcun modo temi toccati dal primo pacchetto di riforma, non hanno fatto altro che indurre la magistratura associata a compattarsi contro la politica e depotenziare gli intenti riformatori del governo. 

Al termine di una riunione del Comitato direttivo centrale, l’Anm  ha auspicato che “queste prese di posizione non siano veramente condivise dal responsabile del dicastero e dalla maggioranza governativa e che alcuni giorni di riflessione possano condurre a conclusioni più meditate”. Inoltre, ha richiamato il principio della “separazione dei poteri dello stato” come “garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”. Espresso lo sdegno – comprensibile – per gli attacchi attraverso fonti “anonime”, l’Anm ha poi proceduto a criticare tutte le ipotesi di riforma contenute nel pacchetto Nordio: dall’abolizione dell’abuso d’ufficio (che sarebbe in contrasto con il diritto internazionale) al rafforzamento delle procedure in materia cautelare (inattuabile per la carenza di giudici), fino alla limitazione del potere di appello del pubblico ministero (definito semplicemente incostituzionale).

Insomma, al di là degli scontri dovuti a quanto detto da fonti anonime, le ultime ore sono sembrate il preludio al conflitto che potrà svilupparsi nelle prossime settimane sui contenuti della riforma Nordio.
 

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