Il pm milanese De Pasquale depone a Brescia, dove è imputato per aver nascosto prove a favore dei vertici Eni, e si autorappresenta come un soldato, un magistrato che i processi non li istruisce, ma li combatte. Così la giustizia diventa una guerra, in cui non sono ammessi dubbi, incertezze, esitazioni
“Ho avuto una vita professionale travagliata, anche per il tipo di processi combattuti”. Più che una deposizione, quella tenuta martedì dal pm milanese Fabio De Pasquale al tribunale di Brescia, dove è imputato insieme all’ex collega Sergio Spadaro con l’accusa di aver nascosto prove a favore dei vertici Eni (poi tutti assolti) nel processo Nigeria, è stata una descrizione emblematica del paradigma culturale che anima certi pubblici ministeri. In sei ore De Pasquale, uno dei simboli della procura meneghina, si è autorappresentato come un soldato, un magistrato che i processi non li istruisce, ma li combatte. Così la giustizia diventa una guerra, in cui non sono ammessi dubbi, incertezze, esitazioni.
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