vittimismo

Complotto? No, autocomplotto. Sulla giustizia inizia la stagione degli alibi

Claudio Cerasa

Le esondazioni delle procure sono una cosa seria. Vera. Evocarle quando non esistono è segno di debolezza. Perché il vittimismo del governo, sulla giustizia, è un preoccupante manifesto politico: inizia la stagione degli alibi

When in trouble, go complotto. Giorgia Meloni evoca il complotto. Non lo dice direttamente, è ovvio, lo fa dire alle fonti di Palazzo Chigi, lo fa dire ai parlamentari a lei più vicini, lo fa dire agli esponenti del governo più in sintonia con la sua agenda politica. Ma il dato è questo ed è evidente. La presidente del Consiglio, come avete visto, crede che un pezzo importante della magistratura del nostro paese stia facendo campagna elettorale contro il governo, per indebolirlo in vista delle europee. E a conferma di questa tesi indica alcune pistole fumanti. A: l’inchiesta contro Daniela Santanchè, della cui formale esistenza gli organi di stampa sono venuti a conoscenza prima che la diretta interessata ne venisse ritualmente informata attraverso un avviso di garanzia. B: l’inchiesta sul sottosegretario Andrea Delmastro, contro il quale vi sarebbe un accanimento da parte della magistratura per via di una richiesta di archiviazione della procura non confermata dal gip. C: l’inchiesta contro uno dei figli di Ignazio La Russa, indagato per violenza sessuale.

Nella storia recente del nostro paese, come Giorgia Meloni dovrebbe sapere, gli assedi giudiziari hanno pesantemente condizionato la traiettoria della vita politica (chiedere per credere cosa hanno passato in questi anni la famiglia Craxi, la famiglia Berlusconi e la famiglia Renzi). E proprio per questo, le storie di cui parliamo oggi – il cui lato giudiziario è forse quello meno interessante – appaiono essere il segno della presenza più di un conclamato autocomplotto del centrodestra che di un clamoroso complotto della magistratura. Un autocomplotto che segnala la tendenza innata da parte di Giorgia Meloni a scaricare su alcuni famigerati agenti esterni quelli che sono invece problemi dovuti a fattori squisitamente interni. La premier forse non se ne è accorta ma il problema del caso Santanchè non è legato alla presenza o meno di un’indagine contro la ministra. E’ legato a qualcosa di più: al fatto che Santanchè non ha ancora dato risposte soddisfacenti sul mancato pagamento della liquidazione ad alcuni dipendenti, sulla circostanza che una dipendente sarebbe stata messa in cassa integrazione a zero ore a sua insaputa e sulla presenza di alcuni passaggi societari della sua Visibilia poco trasparenti ben documentati non da un’inchiesta giudiziaria ma da un’inchiesta giornalistica. 

E allo stesso modo la premier forse non se ne è accorta ma il problema del caso Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, non è legato alla presenza di un gip che sostiene l’opposto di quanto chiesto da un procuratore, e che ha chiesto l’imputazione coatta dello stesso Delmastro in riferimento a un’indagine per rivelazione di segreto d’ufficio legata al caso Cospito. Il problema, piuttosto, è legato a qualcosa di più significativo: al fatto oggettivo che un esponente importante del suo governo ha scelto di rivelare a un parlamentare amico, e suo coinquilino, Giovanni Donzelli, segreti amministrativi conclamati solo al fine di poter utilizzare quelle notizie segrete per colpire in Parlamento esponenti dell’opposizione. L’idea che la giustizia torni a essere terreno di scontro politico per questioni che con la giustizia c’entrano poco o nulla è un clamoroso insulto rivolto a tutti coloro che negli ultimi anni hanno tentato di ingaggiare battaglie vere contro le esondazioni del potere giudiziario. E il tentativo di alzare, sul nulla, l’asticella della polemica con la magistratura, senza ragionare sul fatto che gli imbarazzi presenti all’interno della maggioranza, per Giorgia Meloni, dipendono non tanto da un complotto della magistratura quanto da un autocomplotto della politica che ha scelto di premiare in posizioni apicali figure fragili, improponibili, non all’altezza, inconciliabili con il tentativo di Meloni di far crescere una nuova classe dirigente, evidenzia alcuni problemi ulteriori, che permettono di illuminare un altro guaio della stagione meloniana.

Di solito, quando si evoca un complotto, sulla base del nulla, lo si fa perché si cerca di costruire un alibi, utile a costruire una narrazione vittimista. Non siamo noi che abbiamo scelto politici incapaci di governare, ma è la magistratura che non ci vuole far governare. Non siamo noi che non vogliamo fare una sana riforma della giustizia, ma è la magistratura che ci sta mettendo il bastone tra le ruote. La ricerca degli alibi e l’evocazione dei complotti – il figlio di Ignazio La Russa, contro cui le accuse appaiono molto fragili, non è l’unico figlio di un importante uomo della politica a essere indagato per violenza sessuale e i complotti o si evocano sempre o si evita di evocarli solo quando gli affari in ballo riguardano i propri amici – sarebbero giustificate in presenza di un percorso riformatore solido, chiaro, forte, ben avviato, ben costruito. Ma anche qui l’impressione che si ricava osservando con attenzione la traiettoria della maggioranza sul fronte della giustizia è che in otto mesi di governo la politica delle chiacchiere, e del vittimismo, ha preso il sopravvento sulla politica dei fatti (vale anche per il ministro della Giustizia Carlo Nordio, purtroppo, il cui governo finora ha portato a casa molti aumenti delle pene senza portare però a casa una sola riforma improntata sulla difesa delle garanzie: è questo che dovrebbe fare un garantista, no?). E per questa ragione scommettere sugli alibi è una garanzia perfetta per ritrovarsi con un cuscino morbido su cui far atterrare le proprie promesse fallite. Una strategia scellerata, a tratti ridicola, resa però realizzabile grazie alla presenza di un’opposizione che grottescamente, come detto, ha scelto ancora una volta di trasformare la questione giudiziaria nel termometro perfetto per misurare il grado di presentabilità di un avversario politico. Giorgia Meloni, dal canto suo, avrebbe potuto cavarsela, per difendere i propri politici, dicendo che ogni cittadino ha il dovere di essere considerato innocente fino a prova contraria, costruendo attorno al caso Meloni e Delmastro una battaglia garantista. Meloni invece non lo ha fatto. E la ragione per cui ha puntato su una strada alternativa è probabilmente legata al fatto che anche per la presidente del Consiglio essere indagati fa la differenza, tra l’essere presentabili o no. Meglio il vittimismo che il garantismo. Più che un complotto, cara Meloni, questo assomiglia molto a un autocomplotto. L’assedio giudiziario è una cosa seria. Non trasformiamolo in una barzelletta. Grazie.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.