"Siamo sotto assedio". Su Santanchè e Delmastro, Meloni lancia l'affronto ai pm

Salvini non si espone: "Per quanto durerà la graticola? Lo sa solo la procura", dice il leghista Crippa

Valerio Valentini

Doveva essere il giorno della difesa della ministra del Turismo, che però nessuno in FdI difende fino in fondo. E invece è scoppiata pura la grana del sottosegretario alla Giustizia, rinviato a giudizio sul caso Cospito. E la premier, dopo una riunione a Palazzo Chigi, diffonde una nota in cui accusa la magistratura. When in trouble, daje di complotto

Di buon mattino, Francesco Lollobrigida usa l’ironia: “Siamo un governo di credenti. Se una è Santa, va difesa”. E sembra chiusa lì. Se non fosse che quel se che nell’affermazione del ministro dell’Agricoltura va inteso per quel che appare, nella bocca dei leghisti prende subito una netta connotazione dubitativa. “La Santanchè? Dipende dalle decisioni di Meloni, e da quanto Daniela saprà resistere, perché purtroppo in questa storia le carte le dà la procura”, osserva il vicesegretario del Carroccio, Andrea Crippa. Ce ne sarebbe abbastanza per rabbuiare l’umore della premier. E invece la giornata che s’era aperta con un’incognita da sciogliere, finisce col produrne due, di rogne. Dopo Santanchè, Andrea Delmastro. E così pure le parole di baldanza di Giovanni Donzelli restano un po’ strozzate in gola.

La pregustava già, il responsabile organizzativo di FdI, la sua rivincita. Ai colleghi di partito, tutti in attesa di un pronunciamento della procura di Roma che si sapeva imminente, aveva già spiegato che era pronto, una volta che il collega e già coinquilino Delmastro fosse stato prosciolto, “a inchiodare tutti quelli che mi hanno accusato di aver rivelato un segreto”. E invece, a dispetto della richiesta del pm di archiviare il tutto, il gip ha disposto l’imputazione coatta per il sottosegretario alla Giustizia meloniano: rivelazione di segreto d’ufficio. Dunque, pur nell’attesa che le ipotesi d’accusa vengano confermate,   le ingiurie pronunciate da Donzelli nell’Aula di Montecitorio, quell’aver accostato il Pd alle trame eversive e mafiose intessute dal terrorista Alfredo Cospito insieme ai boss rinchiusi al 41-bis, ecco tutto ciò, ed è roba del gennaio scorso, torna a tribolare la pattuglia dei patrioti. Di certo turba l’umore di Delmastro. Che, a ora di pranzo, compare in Transatlantico e fa mostra di essere già rassegnato al peggio: “Vedrete che verrò rinviato a giudizio”, mugugnava. Già immaginando, evidentemente, quel che ne sarebbe conseguito. E dunque ecco Andrea Orlando, e con lui mezzo Pd, chiedere ora “un chiarimento politico e istituzionale da parte di Meloni e del ministro Nordio, il quale era venuto a Montecitorio a spiegarci con tanto di citazioni dotte perché fosse evidente che non c’era alcuna violazione di segreto”. Ecco, evidente mica tanto.

E qui sta insomma il cortocircuito sovranista di giornata. Perché a voler consultare il Guardasigilli, a sollecitare un suo intervento, al mattino erano proprio i parlamentari di FdI: “Perché a voi sembra normale che tutti sappiano da mesi che una persona è indagata, tranne la persona stessa?”. Insomma, si predispone già la contraerea a difesa di Santanchè. Che però, al netto delle doverose dichiarazioni di fiducia (“Daniela ha la piena fiducia di Giorgia”, scandiva Donzelli), appariva in effetti non troppo convinta. Si spiega così, quindi, l’insolita reticenza del capogruppo alla Camera di FdI, Tommaso Foti: “L’informativa di Santanchè? Non l’ho vista”. Bisogna credergli? “Non l’ho vista, davvero”. Ma almeno i resoconti sui giornali, accidenti, quelli li avrà letti. “Di fretta”.

E insomma basta insistere un po’ per scoprire che la fiducia in Santanchè sarà pure granitica, ma ha necessitato, diciamo così, di qualche convalida. Per questo per due volte, nei mesi recenti, i dirigenti di FdI hanno chiesto chiarimenti sulla situazione giudiziaria della ministra: una volta a lei, e un’altra, in via informale, alla procura di Milano. Amica Daniela, sed magis amica veritas: “Diciamo che qualcuno ha temuto che lei potesse nasconderci qualcosa”, spiegano a Via della Scrofa. E certo lei, con la sua arringa difensiva al Senato, non ha contribuito a fugare i dubbi. Perché quel documento che la ministra ha sventolato  in Aula (“Ho anche estratto il certificato dei carichi pendenti  in cui risulta che non ci sono annotazioni per qualsiasi procedimento nei miei confronti”) era datato a dicembre. Ed è sacrosanto, certo, “che non sta scritto da nessuna parte – come spiegano in FdI – che un italiano deve alzarsi al mattino e chiedere alla procura se è indagato”, ma è pure vero che ci si attende che un ministro, prima di dire “giuro sul mio onore” in Parlamento, faccia una verifica aggiornata, e non esibisca un documento vecchio di sei mesi.

Tutte speculazioni, in ogni caso. Perché il destino di Santanchè, come quello di Delmastro, più che dagli avvisi di garanzia che verranno o dai rinvii a giudizio arrivati, dipenderà dalle valutazioni di Meloni. E non conterà tanto, forse, la coerenza. “Anche perché ce lo ricordiamo quando Meloni si oppose all’ingresso di Siri nel governo per questioni di opportunità”, sbuffano i leghisti. “Quando proponemmo come sottosegretario il nostro Mangialavori – gli fanno eco quelli di FI – da Palazzo Chigi ci dissero che ‘ se cercate su Google, le prime cose che escono su di lui non sono belle’, e si trattava solo di una citazione in un’inchiesta da cui lui non aveva nulla da temere”. No, il punto non è la coerenza garantista, dunque. Ma la convenienza sul piano del consenso. E da questo punto di vista, la premier sembra convinta che sia più utile, per ora, difendere i suoi fedelissimi in affanno piuttosto che apparire cedevole verso magistratura e giornali. E anzi, la retorica scelta, dopo una riunione ristretta tra la premier e i suoi collaboratori, è quella dell’“assedio”. E così, a sera, queste sono le voci che circolano a Palazzo Chigi : “C’è una parte della magistratura che evidentemente vuole supplire alle opposizioni in vista delle elezioni europee?”. When in trouble, daje di complotto. 
 

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  • Valerio Valentini
  • Nato a L'Aquila, nel 1991. Cresciuto a Collemare, lassù sull'Appennino. Maturità classica, laurea in Lettere moderne all'Università di Trento. Al Foglio dal 2017. Ho scritto un libro, "Gli 80 di Camporammaglia", edito da Laterza, con cui ho vinto il premio Campiello Opera Prima nel 2018. Mi piacciono i bei libri e il bel cinema. E il ciclismo, tutto, anche quello brutto.