giustizia

La magistratura terremotata da Davigo e dal flop Eni-Nigeria

Ermes Antonucci

Il caso Davigo-Storari e quello Eni-Nigeria hanno rappresentato un terremoto per le toghe. Da Francesco Greco a Giuseppe Cascini, sono tanti i magistrati di rilievo coinvolti in questa storia

Il caso Davigo-Storari, giunto a un primo epilogo parziale (con la condanna del primo a un anno e tre mesi per violazione del segreto d’ufficio e l’assoluzione definitiva del secondo), ha rappresentato un terremoto per la magistratura, tanto da lasciare attorno a sé un cumulo di macerie. Uno scossone strettamente legato a un altro caso che ha sconvolto il mondo togato, quello sulle irregolarità del processo Eni-Nigeria. Da Francesco Greco a Giuseppe Cascini, sono tanti i magistrati di rilievo coinvolti in questa storia. 

 

Cominciamo dal processo di Brescia, incentrato sulla consegna a Davigo dei verbali segreti di Amara da parte del pm milanese Paolo Storari. Quest’ultimo è incredibilmente uscito indenne dalla vicenda giudiziaria, con un’assoluzione fondata sull’assenza dell’elemento soggettivo del reato: è vero, consegnò materiale coperto da segreto a Davigo, ma lo fece solo perché indotto dallo stesso Davigo, magistrato “dall’indiscutibile spessore”. Provate a raccontarla all’estero, e vediamo se non vi ridono in faccia. 

 

Davigo, per parte sua, ha visto accollarsi tutta la responsabilità del caso, venendo condannato a quindici mesi di reclusione (pena sospesa) per aver ricevuto i verbali di Amara e averne rivelato il contenuto a una decina di persone, tra segretarie, altri consiglieri del Csm e un politico. Dopo aver passato una vita a rappresentare il diritto a impugnare una sentenza  come un modo degli imputati per perdere tempo, l’ex pm di Mani pulite ha già annunciato che farà ricorso contro la sentenza.    

 

Anche l’ex segretaria di Davigo, Marcella Contrafatto, è accusata a Roma di rivelazione di segreto, in particolare di aver inviato i verbali segreti di Amara ad alcune testate giornalistiche e al Csm (processo che, a differenza di quello di Brescia, latita). In un filone parallelo è stata prosciolta dall’accusa di calunnia nei confronti di Francesco Greco, ex procuratore di Milano, per alcune frasi scritte sui biglietti che accompagnavano il plico consegnato ai giornali.

 

Nel prosciogliere Contrafatto dall’accusa di calunnia, il gup di Roma Nicolò Marino, ha chiesto ai pm romani di valutare  eventuali profili penali nella condotta di due consiglieri del Csm che ricevettero i verbali da Davigo: Giuseppe Cascini e Giuseppe Marra. Entrambi, per il gup, si sarebbero resi responsabili del reato di omessa denuncia. Marra anche di quello di soppressione di corpo del reato, per aver distrutto i verbali ricevuti. Secondo quanto appreso dal Foglio, il fascicolo nei confronti di Marra risulta ancora aperto, così come quello su Cascini, trasferito per competenza territoriale a Perugia (anche se entrambi sembrano essere destinati a una silenziosa archiviazione).

 

Dicevamo che il caso dei verbali risulta strettamente connesso con quello sulle irregolarità del processo Eni-Nigeria. In questo contesto, i vertici della procura milanese (l’ex capo Greco e il procuratore aggiunto Laura Pedio) sono stati indagati e archiviati a Brescia per omissione di atti d’ufficio, con l’accusa di aver agito con inerzia di fronte alle “rivelazioni” di Amara sulla loggia Ungheria. Una scelta, secondo Storari, dettata dalla necessità della procura di tutelare l’attendibilità di Amara e Vincenzo Armanna, grande accusatore di Eni nel processo allora in corso sulla presunta corruzione in Nigeria, poi finito con l’assoluzione di tutti gli imputati.

 

Secondo i giudici, attorno alle presunte rivelazioni di Amara,  Greco agì con la giusta cautela.  Un approccio ben diverso da quello mostrato in occasione del processo Eni-Nigeria. Fu proprio Greco infatti, con l’aggiunto Pedio, a fine gennaio 2020, in pieno dibattimento del processo contro il colosso petrolifero, a trasmettere alla procura di Brescia un verbale in cui lo stesso Amara faceva riferimento a presunte “interferenze delle difese Eni” sul giudice Marco Tremolada, presidente del collegio giudicante che poi avrebbe assolto tutti gli imputati accusati dalla procura. Un atto piuttosto grave attraverso cui, a detta del tribunale, l’accusa tentò di mettere in dubbio “il carattere di terzietà” del collegio di giudici.

 

I due titolari del procedimento Eni-Nigeria, il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il pm, ora alla procura europea, Sergio Spadaro, sono invece stati rinviati a giudizio a Brescia con l’accusa di rifiuto di atti d’ufficio, in quanto, secondo l’ipotesi, non avrebbero depositato prove favorevoli agli imputati, poi tutti assolti. Le prove erano state raccolte dal collega Storari, che indagava sull’inchiesta sul cosiddetto “Falso complotto Eni”.

 

Il processo nei confronti di De Pasquale e Spadaro prenderà il via proprio questa mattina e rischia di scuotere per l’ennesima volta la magistratura italiana, aggiungendo macerie su macerie.