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l'intervista

Sallusti: “Berlusconi ci chiese di pubblicare le scuse a Fini. Ma era una sceneggiata. Non ci fu macchina del fango”

Francesco Gottardi

Il direttore del Giornale, che pubblicò per primo la notizia della casa di Montecarlo, commenta il verdetto ai danni dell'ex leader di An: "Quando condannano qualcuno, io non brindo. Oggi però è un giorno di verità"

Milano. “Vi racconto un aneddoto che non avevo mai rispolverato”, dice Alessando Sallusti. “Riunione in corso a Palazzo Grazioli per cercare di evitare la scissione del centrodestra dopo gli articoli che avevamo fatto sulla casa di Montecarlo. Fini si presenta con una lista di 9 richieste. Al punto 7 c’è il licenziamento di Feltri e Sallusti. Lo vengo a sapere, telefono a Berlusconi e lui con fare solenne dice questo: ‘Direttore, penso che il Giornale debba chiedere scusa a Fini e pubblicare un relativo articolo in prima pagina. Mi sono permesso di farle avere una bozza’.  Credevo di essere su Scherzi a Parte”. Così Sallusti richiama il Cav., credendo di aver sbagliato numero. “Invece era vero. Allora vado da Feltri. E mentre parliamo risuona il telefonino. Una voce lontana, debolissima: ‘Alessandro, sono Berlusconi. Sto parlando piano, sono al cesso perché non devono sentirmi: ma tu sarai mica matto a pubblicare quella roba lì? Ti ho telefonato davanti a Fini solo per accontentarlo’. Tutta una sceneggiata. Era fatto così il Cavaliere”.

 

Ma Alessandro Sallusti dice che esultare è da scostumati. “Quando condannano qualcuno, io non brindo”. Meglio limitarsi a sorridere. “Oggi però è un giorno di verità”, dice al Foglio il direttore del Giornale, dopo i 2 anni e 8 mesi comminati a Gianfranco Fini nell’ambito del processo per riciclaggio sulla famosa casa di Montecarlo. “Verità non tanto nei confronti dell’uomo, quanto del sistema mediatico-politico che ci fece passare per cialtroni”, si sfoga il direttore che all’epoca lanciò la notizia, anzi lo “scoop” firmato da Gian Marco Chiocci che oggi dirige il Tg1. Anche se ridotto allo stremo – “e su questo ha ragione Fini: aspettare quasi un quindicennio è una vergogna per la giustizia” – il tempo sa essere galantuomo. L’intuizione giornalistica c’era. I fatti pure. “Questa sentenza rimette un po’ le cose a posto: financo un quotidiano di destra può permettersi di fare uno scoop che si rivela fondato”. E la “macchina del fango” magari si annida dall’altra parte della barricata, tra j’accuse in serie che non trovano sostanza giudiziaria – Ruby ter ne abbiamo? “Alla loro sì, dunque, mi riservo di alzare un calice”. Cin-cin.

 

Sallusti fa il pieno di ricordi. “Al tempo avevo solo alcuni indizi: ho preso atto del sistema e della sua forza confessando Luca Palamara. E a posteriori devo dire che la storia di Fini si iscrive pienamente nel teorema: un politico, dei giornali, un procuratore della Repubblica”, Giovanni Ferrara. “Che sull’onda dello scandalo fu costretto ad aprire un’inchiesta: durò da giugno a ottobre. Poi un anno più tardi questo signore va in pensione anticipata e diventa sottosegretario agli Interni del governo Monti. In quota Fini. Capite che ciò riassume tutta la dinamica di potere occulto e parallelo che poi Palamara ha raccontato nei dettagli? Eppure certa stampa, Repubblica in testa, si limitò a scrivere articoli feroci contro di noi: doveva essere tutta una montatura organizzata da Berlusconi e dai suoi servi. Oggi ne prendiamo atto”. Erano i mesi in cui lo storico leader di Alleanza nazionale “passava da pericoloso postfascista a statista modello: si preparava a tradire il Cav., la coalizione e il paese”. Dunque lo scheletro nell’armadio – l’appartamento monegasco acquistato dal cognato tramite una società off-shore, appunto – pareva cascare a pennello. “Ma il Cav. fu il primo a sbiancare per quella storia!”, sottolinea Sallusti. “Uscito il pezzo mi chiamò: ‘Guardate che se non è vera siamo rovinati’. Io confermai. Così, col suo fare sornione, prese a telefonarmi ogni sera: ‘Novità, direttore, novità?’”. Pian piano l’inchiesta prende corpo. “Frutto di una buona segnalazione, fortunate coincidenze e accertamenti azzeccati. E quando un giorno alle porte di Roma fotografammo la cucina Scavolini destinata alla casa di Montecarlo, tutti ci saltarono addosso. Faccendieri, servizi segreti, malandrini”. Mancava solo la pistola fumante. “Le carte dell’atto di vendita, nascoste nei Caraibi. La cosa iniziava a farsi sporca ma a quel punto non ce ne fregava più niente: il nostro lavoro era stato puramente giornalistico”.

 

Il resto lo fece la politica. Fini, invece? “Sotto il profilo giudiziario, o si è fatto fottere dai parenti o era a conoscenza del reato in balìa della moglie trentenne”. In ogni caso, non una bella figura. “Meriterebbe invece l’ergastolo politico: si è venduto a Napolitano per un’ambizione personale. La destra ci ha messo dieci anni a risollevarsi. Mi fa piacere che sia stata Giorgia Meloni a riscattare il tradimento di Fini. E a vedere il governo oggi, forse alla fine meglio così”.

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