i verbali

Di Matteo disse a Davigo: “Le tue minacce non mi condizionano”

Ermes Antonucci

"Non mi sono fatto condizionare dalle minacce di morte di Totò Riina, figuriamoci dalle tue". Le incredibili parole rivolte dal consigliere del Csm all'ex pm di Mani pulite, emerse nel corso del processo in corso a Brescia

"Non mi sono fatto condizionare dalle minacce di morte di Totò Riina, figuriamoci se mi faccio condizionare dalle tue minacce”. Sono queste le parole incredibili che il consigliere del Csm Nino Di Matteo rivolse nel marzo 2020 all’allora collega Piercamillo Davigo, durante riunione in vista della nomina del nuovo procuratore di Roma. A raccontarlo è stato lo stesso Di Matteo, testimoniando ieri al processo in corso a Brescia che vede l’ex pm di Mani pulite imputato per rivelazione di segreto d’ufficio per i verbali di Amara sulla fantomatica loggia Ungheria.

 

Alla riunione, definita “choccante” da Di Matteo, parteciparono i principali esponenti della corrente di Autonomia e Indipendenza: Davigo, Di Matteo, i consiglieri Sebastiano Ardita e Ilaria Pepe, l’ex consigliere Alessandro Pepe. “La consigliera Pepe era colpita dal fatto che sui quotidiani si parlasse di una spaccatura all’interno della nostra corrente sull’elezione del procuratore di Roma – ha raccontato Di Matteo – In un articolo del Fatto quotidiano si diceva che io e Ardita non avremmo votato per Prestipino ma per un altro candidato, Creazzo. A quel punto Davigo, con una veemenza inaudita e grida che si potevano sentire nella stanza accanto o nel salottino adiacente, disse ad Ardita: ‘Se tu non voti Prestipino, sei fuori da tutto’. E ancora: ‘Se tu non voti Prestipino sei con quelli dell’Hotel Champagne’. Ardita era indicato come un ‘talebano’ nelle intercettazioni delle indagini su Luca Palamara e lui stesso ci rimase male e rispose a Davigo: ‘Ma che cosa stai dicendo?’. Davigo con un fare molto aggressivo quel punto replicò dicendo: ‘Tu mi nascondi qualcosa’. E quando Ardita lo invitò a spiegare le ragioni del contrasto davanti a tutti, lui disse: ‘Te lo spiego dopo separatamente’”.

 

“A quel punto – ha proseguito Di Matteo – anche io alzai la voce e dissi che quel gruppo era peggio degli altri, perché non si consentiva ai consiglieri di votare secondo coscienza i propri candidati”. Da qui anche la frase sul respingimento di qualsiasi tipo di minacce o condizionamenti.     

 

Un anno dopo, Di Matteo ricevette un plico postale anonimo contenente copia dei verbali secretati dell’avvocato Piero Amara nel quali si parlava della loggia Ungheria. “Per me c’era in atto una manovra per calunniare e screditare Sebastiano Ardita e colpirlo nella sua funzione di consigliere del Csm”, ha affermato Di Matteo.

 

Le dichiarazioni di Di Matteo si aggiungono alle testimonianze rese, sempre ieri a Brescia, dai consiglieri Fulvio Gigliotti e Giuseppe Cascini (che hanno confermato di aver saputo da Davigo dell’esistenza di un’indagine a Milano su una presunta loggia segreta) e soprattutto dall’ex presidente della Commissione antimafia Nicola Morra. “Dal suo ufficio al Csm – ha raccontato Morra – Davigo mi ha portato sulle scale, ha aperto un faldone e mi ha fatto leggere il cognome di Ardita. Mi ha detto che secondo le dichiarazioni di una persona che collaborava con una procura del nord, Ardita faceva parte di un’associazione, non ricordo la parola loggia, che imponeva una sorta di segretezza e per questo motivo non era più un soggetto affidabile”.

 

Morra ha anche aggiunto che, alla luce delle rivelazioni di Davigo, la prospettiva di nominare Ardita come consulente in qualche attività della Commissione antimafia non divenne realtà. Una testimonianza che mette ancora di più nei guai Davigo, visto che nel processo Ardita è parte civile, ritenendosi danneggiato dalla diffusione delle notizie, ritenute infondate, sulla sua partecipazione alla loggia Ungheria.