Nemesi per Davigo, rinviato a giudizio

Luciano Capone

La decisione del gup di Brescia per la rivelazione dei verbali di Amara arriva nel giorno del trentennale di Mani pulite. Per l'ex pm del pool non si tratta solo di uno scherzo della storia, ma di una storia grave

Per chi dà un senso alla storia è una nemesi, per gli altri è uno scherzo del caso. Fatto sta che nel giorno dei trent’anni di Mani pulite l’ex pm del pool Piercamillo Davigo è stato rinviato a giudizio dal gup di Brescia per rivelazione del segreto d’ufficio. La notizia è sorprendente solo per l’ironia della sorte, ma non per il chiaro quadro che è emerso dalle dichiarazioni delle persone coinvolte ancor prima che venissero indagate.

 

Il pm di Milano Paolo Storari, imputato come Davigo ma che ha scelto il rito abbreviato, consegnò all’allora consigliere del Csm le dichiarazioni coperte da segreto dell’avvocato Piero Amara sull’esistenza della loggia “Ungheria”. Storari si era rivolto a Davigo per tutelarsi da uno scontro con il procuratore di Milano Francesco Greco che, a suo dire, andava a rilento su quell’indagine. Ma Davigo ha fatto poco per aiutarlo. Non solo si è fatto dare i verbali dicendo che lui poteva riceverli informalmente mettendo Storari nei guai, ma poi si è messo a spifferarne il contenuto a un sacco di gente: il procuratore generale della Cassazione, il vicepresidente del Csm, svariati consiglieri del Csm, il senatore Nicola Morra del M5s e le sue segretarie al Csm. Ma gran parte dell’opera di divulgazione fatta da Davigo non ha avuto nulla a che fare con la sorte dell’indagine o di Storari: l’obiettivo è stato lo sputtanamento, o meglio, il regolamento di conti con il consigliere del Csm Sebastiano Ardita, suo ex amico con cui aveva rotto da tempo, che si è costituito parte civile contro Davigo e Storari. Inoltre, a valle del passaggio di mano stra Storari e Davigo, i verbali di Amara sono finiti ai giornali divenendo noti a chiunque.

 

Insomma, non solo Davigo ha adottato procedure fuori da ogni regola, ma la sua condotta ha screditato un membro del Csm divulgando accuse non riscontrate e probabilmente calunniose e, infine, distrutto un’inchiesta che è diventata di dominio pubblico. Ora i giudici di Brescia dovranno stabilire se è un reato, ma di certo se un comportamento del genere fosse ritenuto legittimo vorrebbe dire la fine del segreto istruttorio e il via libera all’uso del dossieraggio come pratica comune nelle istituzioni. 

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali