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C'è un giudice a Strasburgo

Redazione

Altre buone ragioni per spingere la politica a rivedere l’ergastolo ostativo

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso del governo italiano sull’ergastolo ostativo, confermando la sentenza dello scorso 13 giugno con cui ha ordinato al nostro paese di riformare la legge che impedisce ai condannati di usufruire di benefici penitenziari se non collaborano con la giustizia, ritenendo la norma contraria al diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Nella sentenza, la Corte spiega che lo stato non può imporre il carcere a vita ai condannati solo sulla base della loro decisione di non collaborare con la giustizia, dal momento che questa scelta non è totalmente libera (il condannato può decidere non di collaborare per paura di ritorsioni), né comporta sempre un reale pentimento.

 

Più che ringraziare la Corte di Strasburgo per averci ricordato il significato dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (e indirettamente dell’articolo 27 della nostra Costituzione), viene voglia di invidiare la fermezza con la quale i giudici hanno confermato la decisione dello scorso giugno, senza farsi condizionare dall’ondata di catastrofismo sollevata in questi giorni dai rappresentanti delle istituzioni italiane (a partire dal Guardasigilli Bonafede) di fronte a una decisione che, a dire il vero, non porterà ad alcuna liberazione di massa di boss mafiosi. Evidentemente a Strasburgo sono ben chiari i danni prodotti dalla deriva del pentitismo nel nostro paese (come il più grave depistaggio della storia giudiziaria italiana, quello avvenuto nel processo sulla strage di Via D’Amelio a opera del falso pentito Scarantino) e lo scollamento dei nostrani paladini dell’antimafia rispetto a un tema così delicato come la collaborazione dei mafiosi (basti pensare al parere favorevole espresso da De Raho alla concessione dei domiciliari per Brusca, poi bocciato dalla Cassazione). La speranza ora è che il Parlamento intervenga presto per riformare le norme sull’ergastolo ostativo in una direzione più umana, senza sfuggire dalle proprie responsabilità, come avvenuto sul fine vita.

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