I domiciliari negati a Brusca e la battaglia tra Roma e Strasburgo sull'ergastolo ostativo

Riccardo Lo Verso

Il mafioso tornerà libero nel 2021. Intanto la Corte europea dei diritti dell'uomo deciderà sul ricorso dell'Italia contro la sentenza che dichiara l'ergastolo ostativo contrario all'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani

Niente arresti domiciliari per Giovanni Brusca. La Cassazione respinge l'ennesima richiesta del boss pentito di scontare a casa gli ultimi anni di pena. È stato arrestato nel 1996 e condannato a trent'anni. Tornerà libero nel 2021 con gli sconti che vengono riconosciuti a tutti i detenuti per la buona condotta carceraria.

 

I supremi giudici hanno detto no, nonostante stavolta ci fosse il parere favorevole della procura nazionale antimafia. “Si è ravveduto”, secondo il procuratore Cafiero De Raho.

 

La premialità, richiesta e negata a Brusca, irrompe nelle ore in cui si attende la decisione della giustizia europea sull'ergastolo ostativo.

 

Le due vicende, inevitabilmente, si intrecciano perché Brusca, boss pentito di San Giuseppe Iato, l'uomo della strage di Capaci, il killer di tanti omicidi, l'orco che uccise il piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolandolo e sciogliendone il corpicino nell'acido, ha una caratteristica che lo avrebbe reso “migliore” degli altri. Si è pentito, a differenza di coloro che se ne stanno zitti in carcere.
La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo è chiamata a decidere sul ricorso dell'Italia contro la sentenza del 13 giugno 2019 con cui i giudici di Strasburgo hanno dato ragione al boss Marcello Viola: l'ergastolo ostativo è contrario all'articolo 3 della Convenzione europea per i diritti umani che vieta la tortura, i trattamenti e le punizioni inumane e degradanti.

 

 

Contrario, ma necessario: è il cuore della testi dell'Italia che si oppone spiegando che se oggi la mafia arranca lo si deve anche allo strumento del carcere ostativo e più in generale al regime del carcere duro, il 41 bis. L'ergastolo ostativo nega la possibilità a mafiosi, ex brigatisti, ma anche ai condannati per traffico di droga che non si siano pentiti di godere di permessi premio, semilibertà e libertà condizionale dopo 26 anni trascorsi in carcere. Nel nostro paese sono 957 i detenuti in regime di ergastolo ostativo.

 

La Cedu ha più volte criticato il comportamento dell'Italia che vincola la revoca del carcere ostativo, oltre che alla buona condotta carceraria, al requisito della collaborazione. Secondo i giudici europei, l'assenza di pentimento non sempre può essere sintomo della persistente adesione ai valori criminali che si sono abbracciati un tempo. La mancata collaborazione non è necessariamente sintomatica manifestazione di pericolosità sociale. Così come il pentimento non lo è di un ravvedimento. In ogni caso il regime ostativo va contro il principio del valore rieducativo della pena.

 

Ed ecco che si è inserito nel dibattito il caso Brusca. Secondo il Tribunale di sorveglianza, che aveva rigettato la nona richiesta di potere andare ai domiciliari, serve molto di più del rapporto collaborativo. Occorrono “comportamenti positivi e sintomatici che tendano a recuperare i valori morali dell’uomo” che in Brusca non sono stati ravvisati. Ci vuole un pentimento civile oltre che giudiziario che passi anche e soprattutto da una richiesta di perdono ai familiari delle persone a cui si è recato tanto dolore.
Brusca non andrà ai domiciliari. Non godrà di un ulteriore permesso che si sarebbe sommato agli ottanta di chi ha già goduto nell'ultimo quindicennio. Come quando, tre anni fa, gli fu concesso di trascorrere il capodanno con i familiari. Macabra coincidenza temporale, visto che una manciata di giorni dopo i festeggiamenti per l'arrivo del nuovo anno, finiva nel peggiore dei modi l'incubo del piccolo Di Matteo. Era l'11 gennaio 1996, il bambino veniva strangolato dopo 779 giorni di prigionia e il suo corpo veniva sciolto nell'acido. Avrebbe compiuto quindici anni otto giorni dopo. Quando gli uomini di Cosa nostra l'avevano sequestrato per far tacere il padre, il collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, doveva ancora compiere tredici anni. “Allibertativi du cagnuleddu” (liberatevi del cagnolino), ordinò Brusca. Fu uno dei cento omicidi commessi dal boss che, grazie al suon pentimento, non ha avuto l'ergastolo, ma trent'anni. Una condanna mite per un criminale spietato che, dicono i giudici, ha già goduto del massimo dei benefici.

Di più su questi argomenti: