Attilio Fontana all'uscita del tribunale a Milano (foto LaPresse)

Le procure del cambiamento

Claudio Cerasa

L’attività giudiziaria fa notizia non solo per i tempi ma per la ritrovata mediaticità. Il caso Legnano, l’opzione “Piazza pulita”, le indagini utilizzate come strumento di propaganda. Perché le inchieste lombarde diventano anche un messaggio politico

Il pezzo che state per leggere ci è venuto in mente mettendo insieme quattro storie interessanti – e sospette – legate ad alcune recenti notizie di cronaca giudiziaria lombarda. La più fresca è quella che troverete sulle prime pagine di molti giornali e riguarda l’arresto di un sindaco leghista, il sindaco di Legnano, Gianbattista Fratus, considerato molto vicino a Matteo Salvini, che ieri mattina ha guadagnato gli arresti domiciliari con l’accusa di aver portato avanti alcune nomine pilotate e di aver affidato alcuni incarichi per ottenere, nientemeno, che un appoggio elettorale. Si potrebbe già discutere se sia stato o no un eccesso il ricorso a un provvedimento di custodia cautelare per un reato di questo tipo. Ma ciò che nella nostra testa è suonato come un piccolo eppure significativo campanello d’allarme è il nome di battaglia che la Guardia di finanza di Milano ha scelto per sintetizzare, con molti rulli di tamburi, il senso delle indagini, coordinate dalla procura della Repubblica di Busto Arsizio: operazione “Piazza pulita”.

  

La mediaticità dell’operazione “Piazza pulita” non è esattamente un unicum all’interno di questa movimentata fase conclusiva della campagna elettorale per le europee. E nelle ultime settimane, sempre in Lombardia, non sono mancate le occasioni in cui le attività di indagine degli inquirenti hanno corso il rischio di esercitare una forma di interferenza, certamente indiretta, all’interno del gioco democratico. Parlare di complotti nei confronti di questo o quel partito è una forzatura senza fondamento, ma ha invece un qualche fondamento notare che ci sono almeno tre occasioni recenti, in Lombardia, in cui le indagini della magistratura sono state presentate con un tasso di mediaticità tale da ricordare le peggiori ore di Tangentopoli. Per inquadrare il tema potremmo cavarcela con qualche domanda semplice. C’è stato oppure no un eccesso nell’utilizzo della custodia cautelare per il vicecoordinatore regionale di Forza Italia Pietro Tatarella e per il sottosegretario all’area Expo della regione Lombardia Fabio Altitonante? Si può notare oppure no che arrestare candidati alle elezioni europee a pochi giorni dal voto, per un’inchiesta che in fondo era stata chiusa non pochi giorni fa ma ben tre mesi fa (il 27 febbraio), è un fatto che non può non riflettersi sulla campagna elettorale? Si può notare oppure no che un procuratore della Repubblica, in questo caso il numero uno della procura di Milano, lo stimatissimo Francesco Greco, compie quantomeno un atto singolare con riferimento alla segretezza delle indagini quando afferma in diretta tv, nel corso di una conferenza stampa, di avere sospetti nei confronti di una persona non ancora indagata, il presidente della regione Lombardia Attilio Fontana, che verrà indagato per abuso d’ufficio solo in un secondo momento? E infine: si può notare oppure no che alimentare il tasso di mediaticità su inchieste relative alla politica, originate da reati spesso difficili da dimostrare come il finanziamento illecito e l’abuso d’ufficio, riporta in modo naturale il pensiero ai tempi di Tangentopoli, quando il circo mediatico-giudiziario si specializzò nel trasformare proprio quei due capi di imputazione in strumenti di propaganda contro gli avversari di turno?

  

 

A tutte queste domande si potrà rispondere in modo più o meno lineare ma ciò che non si potrà invece non notare è l’effetto generato dalla natura delle inchieste che abbiamo appena descritto. Un effetto che certamente è involontario ma che contribuisce a rafforzare un’idea che comincia a essere sempre più presente nella testa di un pezzo importante dell’establishment italiano, lo stesso che sembra così disposto a credere alla grande balla del moderatismo del Movimento 5 stelle, lo stesso che sembra essere disposto a percorrere vie truci pur di indebolire il Truce: l’idea che le forze più responsabili del paese, quelle cioè che si oppongono al centrodestra sotto inchiesta in Lombardia, debbano fare di tutto per unirsi contro i nuovi cinghialoni del centrodestra, per combattere il nuovo sistema criminale in cui gli indagati, come ha tenuto a far sapere ieri il sostituto procuratore di Busto Arsizio Nadia Calcaterra commentando l’indagine che ha coinvolto il sindaco di Legnano e due assessori della sua giunta, “non percepiscono assolutamente la gravità delle loro azioni, quasi fosse un modus operandi che, solo perché diffuso, è legalizzato”. La persecuzione non c’è, i reati non sappiamo, ma la teatralità sì. E se c’è qualcosa di cui l’Italia non ha bisogno è di avere un paese pronto a fare il tifo per quello che oggi non c’è ma che domani chissà: le procure del cambiamento. Anche no, grazie.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.