Matteo Salvini in prefettura a Milano (Foto LaPresse)

Gargarismi salviniani sul garantismo

Ermes Antonucci

 Salvini non vuole processi mediatici per Siri ma è il primo a condannare chiunque sui social. Antologia

Roma. “I processi si fanno nei tribunali e non sui giornali o in Parlamento. Se invece decidiamo che uno si alza la mattina e dice questo è colpevole e questo no, questo è antipatico e questo è simpatico, allora chiudiamo i tribunali e diamo in mano a qualche giornale la possibilità di fare politica”. A lanciare questo duro monito contro il processo mediatico è stato lunedì mattina il vicepremier Matteo Salvini, intervenendo sul caso che coinvolge il

">sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione. Nessuna improvvisa conversione garantista, ma puro calcolo politico per il leader della Lega, che infatti poche ore dopo è tornato a dispensare condanne mediatiche, commentando l’arresto a Viterbo di due attivisti di CasaPound accusati di violenza sessuale: “Nessuna tolleranza per pedofili e stupratori: la galera non basta, ci vuole anche una cura. Chiamatela castrazione chimica o blocco androgenico, la sostanza è che chiederemo l’immediata discussione alla Camera della nostra proposta di legge”. Eccolo il Salvini che conosciamo, il ministro dell’Interno che ha fatto spesso ricorso alla gogna mediatica (specialmente via social) come mezzo per la ricerca del consenso, a dispetto del principio costituzionale di presunzione di innocenza che ora, in maniera ben poco credibile, si vorrebbe evocare in difesa del proprio sottosegretario indagato.

 

 

Fin dalla nascita del governo gialloverde, infatti, la toga del “giudice del popolo” è sempre stato uno degli indumenti preferiti indossati da Salvini, tra una divisa delle forze armate e l’altra. A partire dal dramma del crollo del Ponte Morandi a Genova, appena due mesi dopo l’insediamento dell’esecutivo: “Serve chiarezza, non può esserci un’altra strage senza colpevoli e qui hanno nomi e cognomi ben precisi. Qualcuno deve finire in galera”, disse con fermezza il neoministro Salvini a poche ore dalla tragedia, con i corpi delle vittime ancora da recuperare. Il governo della forca aveva già individuato i colpevoli: Autostrade per l’Italia, Atlantia, Benetton. Altro che “i processi si fanno nei tribunali e non sui giornali”. E le indagini oggi, dopo oltre otto mesi, sono ancora in corso.

 

Poche settimane dopo fu la volta dell’ordinanza di scarcerazione emessa dal tribunale di Milano nei confronti di un cittadino gambiano imputato per spaccio di droga: “Roba da matti. Un immigrato del Gambia, con precedenti penali, beccato a spacciare morte, è stato scarcerato perché per i giudici del tribunale di Milano: ‘Vendere droga è la sua sola fonte di sostentamento’. Poverino… Nell’Italia che ho in mente io chi sbaglia deve pagare, fino all’ultimo giorno!”, scrisse sui social Salvini, ergendosi nuovamente a magistrato. Peccato che i giudici (quelli veri) si erano riferiti all’assenza di una lecita “fonte di sostentamento” non per revocare la carcerazione preventiva, ma per giustificare la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato.

 

Poi, nell’ottobre del 2018, giunse l’inchiesta nei confronti del sindaco di Riace, Mimmo Lucano, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. “Accidenti, chissà cosa diranno adesso Saviano e tutti i buonisti che vorrebbero riempire l’Italia di immigrati!”, si chiese ironico Salvini via Twitter, confondendo nuovamente indagini con condanne definitive. Non solo, pur di attaccare mediaticamente Lucano, Salvini decise anche di condividere dalle sue pagine social un video in cui un pregiudicato attaccava il sindaco di Riace.

 

 

Ma è con il nuovo anno che Salvini ha deciso di dare pienamente sfogo alle sue passioni mediatico-giudiziarie. Lo ha fatto in seguito alla sentenza di appello sull’omicidio di Marco Vannini, che ha ridotte le pene nei confronti degli imputati: “Con tutto il rispetto sono d’accordo con i parenti del povero Marco: è una vergogna”, ha commentato il ministro su Facebook. Poi è stata la volta della sentenza del tribunale di Avellino sulla tragedia del bus precipitato da un viadotto autostradale. I giudici assolvono i vertici di Autostrade ma condannano otto imputati a un totale di 53 anni di reclusione, eppure per Salvini la sentenza “assolve qualcuno che ha la responsabilità dei morti”.

 

Salvini si è improvvisato giudice anche per commentare una sentenza del Tribunale di Genova che ha condannato un uomo a 16 anni di reclusione per l’omicidio della moglie, contro i 30 richiesti dai pm. Grazie alle solite letture superficiali delle motivazioni della sentenza da parte di alcuni giornali e politici, si era diffusa – erroneamente – l’idea che la giudice avesse riconosciuto all’uomo l’attenuante della “delusione”, riaprendo le porte all’omicidio d’onore. Nulla di vero, eppure Salvini non ci ha pensato più di due volte prima di partecipare al rito collettivo della forca: “Non ho parole. Non c’è delusione o gelosia che possa giustificare un omicidio. Chi ammazza in questo modo deve marcire in galera”.

 

Arriviamo, infine, alla vicenda dello stupro di una giovane donna che sarebbe avvenuto il 5 marzo alla stazione ferroviaria di San Giorgio a Cremano, a Napoli. Vengono arrestati tre ragazzi e Salvini, come al solito, arriva subito al terzo grado di giudizio: “Nessuna pietà per chi violenta donne e bambini, in galera a vita”. Nelle settimane successive, tutti e tre i ragazzi saranno scarcerati dal tribunale del Riesame, che non riterrà credibili le ricostruzioni della donna, anche alla luce delle immagini riprese dalle telecamere interne. Ecco perché i gargarismi garantisti di Salvini delle ultime ore hanno le gambe corte.

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