Università La Sapienza. Conte all'inaugurazione dell'anno accademico 2018\2019

L'avvocato Conte (e i suoi ministri) all'esame di garantismo

Annalisa Chirico

La frase sugli “ismi” è voce dal sen fuggita. Ma dietro c’è una visione illiberale della giustizia. Pareri di penalisti e giuristi

L’ha detto davvero? Giuseppe Conte, il giurista Conte, l’autoproclamato “avvocato del popolo”, insomma lui, il presidente del Consiglio, ha scandito proprio quelle parole? Gli avvocati non hanno gradito. Intervistato dal Corriere della Sera in merito alle dimissioni di Armando Siri, richieste dal M5s, Conte afferma che l’interessato ha “il diritto ma anche il dovere di interloquire con il suo presidente”, e poi distilla la perla: “Niente ‘ismi’. Per principio non sono né per il giustizialismo né per il garantismo che riflettono visioni manichee”. Se la dichiarazione di “equidistanza” fosse stata pronunciata da Luigi Di Maio, la vicenda sarebbe stata derubricata a gaffe di un ministro a basso tasso di istruzione (del resto lui, sempre sul caso Siri, aveva già spazzato via ogni dubbio sui propri rudimenti di diritto affermando, apertis verbis, che spetta all’indagato dimostrare in giudizio la propria innocenza).

  

In questo caso, però, l’equiparazione degli opposti “ismi” proviene dall’avvocato per antonomasia, al giurista cresciuto a pane e codice, allievo di Guido Alpa. “Per un professore di Diritto una tale affermazione è sorprendente”, dice al Foglio Gian Domenico Caiazza, presidente dell’Unione delle Camere penali italiane, “Conte non è persona estranea alla materia, sa bene che il garantismo affonda le radici nel Diritto costituzionale e, in generale, nel Diritto penale liberale. La dichiarazione di equidistanza da garantismo e giustizialismo sarebbe di per sé grave se provenisse da un politico non consapevole della materia, ma quando proviene da un giurista è sconcertante. Dobbiamo concludere che siamo nelle mani di chi ha un’idea non costituzionale del processo penale”.

 

Che cos’è il garantismo? “Si manifesta nel rispetto del principio costituzionale di non colpevolezza che ispira il diritto processuale penale nella sua interezza. Come può un principio costituzionale peccare di manicheismo? O si crede nel principio di non colpevolezza, con ciò che ne consegue, oppure si opta apertamente per il giustizialismo che sovverte quel principio, non esiste una terza opzione. E la precisazione del premier”, prosegue Caiazza, “non è una pruderie salottiera. Prende piede in modo sempre più evidente un’idea del processo come luogo dove consumare, il più rapidamente possibile, la conferma della presunzione di colpevolezza dell’indagato, non solo nel confronto culturale ma anche nelle proposte di legge. E’ l’impostazione Davigo: se una persona arriva a essere indagata, o addirittura rinviata a giudizio, quel provvedimento contiene già in nuce una seria valutazione della probabilità di colpevolezza. Il giudizio viene anticipato dal lavoro dell’inquirente. Invece la concezione garantista del processo è esattamente opposta: il processo va celebrato come se l’indagato fosse innocente perché la storia millenaria del pensiero umano si è posta il problema del processo come strumento volto a evitare che un innocente sia ingiustamente punito. Dal principio ‘in dubio pro reo’ del Codice giustinianeo fino alle più moderne elaborazioni della formula ‘al di là di ogni ragionevole dubbio’, il diritto penale liberale fissa le condizioni di verifica della fondatezza dell’ipotesi accusatoria”.

 

La visione panpenalista del governo

E il provvedimento licenziato da questo governo più emblematico di questa visione panpenalista, secondo Caiazza, è “la cosiddetta ‘spazza corrotti’, una concezione lontana dall’alveo costituzionale. Siamo alle solite: il diritto penale è inteso come una clava con cui sferrare colpi e non invece come la ‘Magna Charta del reo’, la codificazione di una serie di norme a definizione dei limiti entro i quali lo stato può intervenire nella vita delle persone”.

 

Secondo Vinicio Nardo, del foro milanese, già segretario dell’Ucpi, “il premier ha detto una supercazzola, anche se forse l’espressione è inopportuna. Mi sembra tuttavia in linea con l’attitudine di questo governo anche in ambiti come l’economia, la politica estera, l’immigrazione. La questione non riguarda gli ‘ismi’ ma il rapporto tra politica e giustizia. Come già accaduto con i governi precedenti, anche quello attuale tende ad affrontare il problema difendendo i propri e attaccando gli altri”. 

  

Prosegue Vinicio Nardo: “Non è manicheismo ma è un problema sostanziale che nell’intervista citata Conte ha eluso. Se una giunta comunale o regionale può essere mandata a casa per un avviso di garanzia, non si può far finta di niente se poi, a distanza di qualche mese o anno, la stessa giunta viene riabilitata da una sentenza di assoluzione. Ciò ha a che fare con la qualità di una democrazia, non con le desinenze. E poi, mi lasci dire, un avvocato è per definizione garantista. Conte si è autodefinito ‘avvocato del popolo’, esattamente come Robespierre che poi sappiamo com’è finito”. Un tempo quelle parole ce le saremmo aspettate da un Di Pietro o da un Ingroia. “La matrice culturale è identica, non mi meraviglio. In generale, grillini e leghisti difendono i propri inquisiti e attaccano gli avversari. L’unico partito a non difendere neppure i propri accoliti è il Pd”. Per il caso Siri il segretario dem Nicola Zingaretti ha annunciato una mozione di sfiducia. “Con la mozione di sfiducia i dem fanno i manichei più dei manichei. La verità è che nello scontro tra i due ‘ismi’ sta vincendo il giustizialismo”. Assai critico è pure Beniamino Migliucci, del foro di Bolzano, già presidente dell’Ucpi: “Da quando i gialloverdi sono al governo, non mi stupisco più di nulla. Se Conte si proclama ‘avvocato del popolo’, io mi dichiaro assai preoccupato a esser difeso da lui. Come si possono porre sullo stesso piano due concetti totalmente opposti? Il giustizialismo è il rifiuto delle regole poste a presidio dell’individuo e della persona in una democrazia liberale. Il garantismo invece significa rispetto di tali garanzie. La nostra Costituzione è ispirata a questi princìpi, racchiusi, in particolare, nel ‘giusto processo’ all’articolo 111 e nella presunzione di innocenza all’articolo 27. Un avvocato, che possa definirsi tale, dovrebbe difenderli con forza. Inoltre, non essendo stato smentito da nessun ministro, si deve ritenere che il Conte-pensiero sia quello del governo nel suo insieme, dunque abbiamo un esecutivo che ha scelto il giustizialismo inteso come processo sommario, presunzione di colpevolezza e rifiuto delle regole poste a presidio di una sentenza giusta”.

  

Se la narrazione populista sembra vincente, il fronte garantista deve fare autocritica? “Non è stata contrapposta una risposta adeguata, è vero, ma non è colpa di noi garantisti se nel paese le garanzie sono diventate un orpello fastidioso e l’indagato è considerato un condannato preventivo. Il processo è come una malattia: solo quando ti capita capisci quanto le garanzie siano importanti. Ancor prima di trascorrere qualche giorno dietro le sbarre per comprendere la realtà carceraria, i politici dovrebbero affrontare un processo in prima persona per rendersi conto che il rispetto delle regole formali è una cosa seria”.

 

Per Vittorio Manes, avvocato e professore di Diritto penale all’Università di Bologna, “suona davvero strana la contrapposizione tra due concetti così diversi, non vorrei che il premier sia stato frainteso”. Le parole attribuitegli non sono state smentite. “Giustizialismo è termine dalla connotazione negativa perché evoca l’idea di una giustizia unilaterale, sommaria e univocamente punitiva. Garantismo invece è l’unico modo di intendere la giustizia penale: anzi si può dire che la storia del diritto e del processo penale sia la storia delle sue garanzie, una sedimentazione secolare che rappresenta l’evoluzione del diritto penale liberale in uno stato di diritto e identifica i limiti imposti alla potestà punitiva dello stato, un sistema di antidoti contro l’errore giudiziario e contro il rischio di un uso arbitrario del potere di punire. In altri termini, il ‘garantismo’ non è una opzione, e la sua unica alternativa, storicamente, è stata rappresentata da accuse segrete, processi segreti, tortura per ottenere confessioni o prove e pena di morte. Sul punto non si possono accettare confusioni o cedimenti, specie in un’epoca, come quella attuale, dove le garanzie e i diritti fondamentali sono costantemente messi in discussione e si tende a dare sfogo a degenerazioni giustizialiste tipiche del cosiddetto populismo penale”.

 

Perché il garantismo è impopolare? “Le garanzie sono sempre state parte di un sistema minoritario, anzi sono strutturalmente antimaggioritarie, perché appunto rappresentano limiti al potere. Oggi che il potere insegue così lascivamente il consenso, anche le garanzie entrano nel trade-off e vengono sacrificate senza particolare premura pur di assecondare il bisogno emotivo di punire, spesso artificialmente indotto. Per affermare l’intransigenza della virginale società civile contro la demoniaca società della politica e del malaffare (salvo poi ricredersi frettolosamente quando si finisce sotto il radar della giustizia penale). Quanto alle affermazioni del premier, ripeto, penso siano state enfatizzate perché il rispetto manicheo per garanzie e diritti è iscritto nel Dna di ogni giurista”. Non crede invece all’ipotesi del travisamento, o del malinteso, il presidente dell’Ordine degli avvocati di Firenze Sergio Paparo: “Mi domando, anzitutto, chi abbia conferito a Giuseppe Conte il mandato di ‘avvocato del popolo’. La questione è semplice: il garantismo è iscritto nella Costituzione sulla quale ha giurato lo stesso presidente del Consiglio. Il giustizialismo invece è una patologia incompatibile con l’essenza di una democrazia liberale. L’articolo 3 della Costituzione presuppone la garanzia della giurisdizione e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La verità è che la politica dovrebbe rispettare l’esercizio della giurisdizione, con i suoi tempi e le sue procedure, senza strappare gli avvisi di garanzia per farsi beffa dei magistrati. Anziché rinfacciarsi le indagini che colpiscono ora gli uni ora gli altri, i politici abbiano la pazienza di attendere l’esito della vicenda giudiziaria senza intromissioni. Se un partito si dota di un codice interno particolarmente severo che prevede, per esempio, l’obbligo di dimissioni per un avviso di garanzia, nulla quaestio, purché tali vincoli siano liberamente accettati da candidati e iscritti. E’ importante che ciò sia frutto di una libera scelta e non di un processo di piazza”. Per Guido Sola, presidente della Camera penale di Modena, “le parole del premier che è pure un collega avvocato destano enorme stupore. Prendere le distanze tanto dal giustizialismo quanto dal garantismo, come se fossero due prospettive equiparabili, lascia allibiti. Il garantismo non è una presa di posizione, men che meno manichea. In un sistema costituzionale imperniato sull’articolo 27 il garantismo è dovere di ogni cittadino e giurista. Un avvocato non può che essere garantista perché è chiamato a difendere i diritti, con particolare riguardo a quelli dei più deboli. A mio giudizio, è la conferma che corrono tempi politicamente cupi, caratterizzati da una politica che in materia di giustizia ha un’inaccettabile visione giustizialista e giansenista del processo penale. Non si può ammettere la tesi di Davigo per cui non esistono innocenti ma solo colpevoli ancora da scoprire, e soprattutto non si può pensare che il processo penale sia uno strumento nato per punire irrogando pene esemplari”.

 

Quale provvedimento gialloverde è emblematico di questa visione “giansenista”? “Il teologo Giansenio predicava che l’uomo nasce peccatore e per lui non c’è salvezza, il governo ha la stessa idea. L’esempio icastico è la cancellazione della prescrizione. La sospensione dopo il primo grado di giudizio equivale, di fatto, alla sua abolizione, per giunta il governo ha deciso che ciò valga anche in caso di assoluzione. Solo sposando l’opinione di Davigo per cui non esistono innocenti, si può decidere di tenere sotto processo a vita una persona assolta”. Perché queste idee contrarie alla civiltà giuridica si sono affermate in modo così massiccio? “Da Mani pulite in poi nel paese si è dichiarata guerra ai partiti e alle élite intellettuali, incluse quelle dei giuristi; dalla disintegrazione dei corpi intermedi si è giunti al principio dell’‘uno vale uno’, tanto caro ai grillini. Senza una classe politica autorevole e forte, non si va da nessuna parte”. Per Valerio Spigarelli, già presidente dell’Ucpi, “è stupefacente che un avvocato dica una cosa del genere, come se il garantismo fosse qualcosa di diverso da quello che è: rispetto delle garanzie. I garantisti vengono ritratti, secondo questa narrazione, come dei mollaccioni indulgenti e iperinteressati, pelosi, quelli che ce l’hanno con la giustizia perché vogliono che tutti la facciano franca. Alcuni anni fa, io proposi l’abrogazione del termine ‘garantista’ per il semplice fatto che in uno stato di diritto ha poco senso definirsi garantisti: tutti dovrebbero ritenersi tali, a partire da quanti ricoprono ruoli istituzionali. Le garanzie sono scritte nella Costituzione”.

 

E il giustizialismo? “I giustizialisti coltivano una visione antigarantista della giustizia. Erigono ghigliottine al primo avviso di garanzia, per loro la pena è vendetta sociale e non retribuzione in vista dell’emenda di ciò che hai commesso. Il premier Conte alimenta la confusione tra i due termini e nega di essere quello che dovrebbe essere. In realtà egli offre il solito messaggio da ‘mediano’ strizzando l’occhio agli uni e agli altri, il suo è il tentativo allusivo di non scontentare nessuno. L’equiparazione però offende la grammatica istituzionale. Finché non si afferma una leva di politici che rifiuta categoricamente la strumentalizzazione delle questioni giudiziarie, si andrà avanti seguendo il copione degli ultimi trent’anni, altro che ‘governo del cambiamento’. L’opposizione, da questo punto di vista, non esiste”.

 

Eppure Zingaretti vuole sfiduciare il governo. “E’ un’assurdità, un déjà-vu. Forse oggi l’unico elemento di novità è dato dal fatto che le attuali tricoteuses, dopo aver costruito la loro fortuna sull’integralismo giudiziario, si esercitano nell’arte del distinguo al solo scopo di proteggere i propri accoliti più fedeli. Per il resto, a pochi mesi dalla sua entrata in vigore, la legge ‘spazzacorrotti’, che equipara, di fatto, corruzione e mafia, è già finita davanti alla Corte costituzionale. E’ la cartina di tornasole della qualità della legislazione”. Per Cesare Placanica, numero uno della Camera penale di Roma, “il garantismo è un patrimonio condiviso in un percorso di civiltà. Le garanzie sono regole poste non solo a vantaggio di chi è sottoposto a procedimento penale ma anche a vantaggio della collettività: soltanto il loro rispetto formale garantisce un risultato finale più affidabile. La proposta d’impunità, per intenderci, ha una capacità corruttiva della fonte di prova superiore alla violenza fisica. Se qualcuno si mostra indifferente quanto al rispetto delle libertà individuali, abbia almeno l’intelligenza di applicare un ragionamento pragmatico: se si rispettano le regole, l’esito del procedimento ha un grado maggiore di attendibilità”. Va sempre ricordato però che il processo penale non è speculum veritatis: la verità processuale può divergere da quella storica. “Esatto. Se così non fosse, non esisterebbe la revisione del processo, originariamente prevista del codice Zanardelli ma poi abolita dal fascismo e reintrodotta solo successivamente nel codice Rocco in seguito a un caso specifico, l’omicidio Gallo”. Un eclatante errore giudiziario: un omicidio senza cadaveri risalente agli anni Cinquanta. “Salvatore Gallo fu condannato all’ergastolo con l’accusa di aver assassinato il fratello Paolo con cui era venuto a diverbio. Sette anni dopo la condanna, il presunto morto si ripresentò vivo e vegeto testimoniando non solo l’innocenza del fratello ma anche il pericolo di presunzioni terribili in materia penale”. Chissà che ne penserebbe Conte, l’avvocato… “Dubito che abbia pronunciato quelle parole in buona fede, nessun laureato in giurisprudenza lo farebbe. Credo che egli si sia espresso così per opportunità politica, vuole ritagliarsi un ruolo più autonomo”.

 

Tra Siri e Raggi, siamo al rimpallo degli indagati tra le forze di governo. “La richiesta di dimissioni sarebbe un atto persino pregevole se fosse il frutto di un’autonoma valutazione politica. Invece costoro la condizionano al giudizio endoprocessuale e, guarda caso, solo quando c’è da colpire gli avversari. Il vero problema è che in Italia manca la figura di un giudice terzo e imparziale che non sia succube di chi svolge le indagini, e ciò vale drammaticamente per gip e tribunali del riesame. Il vaglio critico e indipendente dell’ipotesi accusatoria è andato perduto”. E dire che fino al 1989, prima dell’introduzione del rito accusatorio, i pm potevano emettere i mandati di cattura, oggi è necessaria la firma di un giudice. “Noi avvocati riscontriamo ogni giorno l’assoluta adesività e succubanza della magistratura giudicante alle scelte e agli orientamenti delle procure. L’udienza preliminare è diventata il momento dei passacarte, non filtra un bel niente, anzi spesso è un’inutile perdita di tempo”. A suo giudizio, perché il giudice è succube? “Pm e giudici fanno parte dello stesso ordine, semplice”.

 

Per Francesco Petrelli, già segretario dell’Ucpi, “porre sullo stesso piano garantismo e giustizialismo è una pessima idea, significa negare la radice etica del garantismo che consente segnatamente di separare ciò che appartiene al diritto e al processo penale da ciò che rientra invece nell’insindacabile opzione della politica. Quella degli ‘ismi’ è solo una formula un po’ furba per tenere le mani libere di volta in volta… Il conflitto fra politica e giustizia appartiene alla modernità, le democrazie non ne sono affatto immuni. E’ ovvio però che nei sistemi democratici meno maturi come il nostro, dove il pensiero liberale non va di pari passo con il processo penale, il conflitto genera gravi squilibri. La debolezza della politica e della democrazia apre la strada all’idea che lo sviluppo della società – da Tangentopoli in poi – sia nelle mani della magistratura, unica garante del bene e del male”.

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