Walter Verini tra Lorenzo Guerini e Giuseppe Fioroni (foto LaPresse)

Il Pd dopo l'inchiesta sulla sanità in Umbria

Marianna Rizzini

L’improvvisa ribalta del discreto commissario Verini, sullo sfondo dei mai composti “due Pd”

Roma. Roba d’altri tempi, ma in altri tempi colui che ora è commissario del Pd umbro dopo il deflagrare dell’inchiesta sulla Sanità, e cioè Walter Verini, deputato di lunga esperienza e presidente del Pd umbro, se ne stava in Campidoglio, dietro le quinte, a monitorare la prima e la seconda sindacatura Veltroni. Dietro le quinte in senso letterale: “Chiedi a Verini”, si sentiva dire chiunque cercasse lumi su azioni e pensieri del sindaco Walter nel momento di massimo fulgore politico del medesimo, poi “padre” del Pd del Lingotto nonché primo segretario del partito nato dalla fusione Ds-Margherita. Oppure: “Verifica se Verini sa qualcosa”, si sentivano dire i cronisti. E, all’inizio del percorso politico capitolino veltroniano, c’era chi scherzava: “Verini si è mimetizzato”, dicevano i burloni, da quanto era difficile vedere il braccio destro del sindaco nelle inquadrature degli eventi ufficiali, e da quanto era difficile scorgere, nel gruppo dello staff del sindaco, l’inconfondibile occhiale a montatura nera del futuro commissario in Umbria. E quando Verini c’era, lo si poteva benissimo confondere con un altro, da quanto la discrezione s’era fatta, in lui, anche fisiognomica.

 

Fatto sta che domenica scorsa, alla notizia che il neo segretario del Pd Nicola Zingaretti aveva affidato proprio a Verini (umbro e addentro alla politica umbra, ma anche per esperinenza romanocentrico) il compito di guidare il partito locale dopo il terremoto dell’inchiesta sulle presunte irregolarità al concorso per le assunzioni in ambito sanitario, c’è chi ci ha visto non soltanto una prova-contrappasso per il riservatissimo commissario, costretto in questi giorni, e tutto d’un colpo, alla prima linea anche mediatica, ma anche lo specchio della mai sanata spaccatura del Pd in anime originarie non amalgamate. Quanto è veltroniano e storicamente “Pci-Pds-Ds” infatti Verini, giornalista e già pilastro della Commissione giustizia nella legislatura precedente, tanto non lo è Gianpiero Bocci, ex segretario locale pd ora sotto indagine (e autosospesosi dal partito), già sottosegretario all’Interno nei governi Letta, Renzi e Gentiloni, con addentellati in area franceschiniana ma in generale con buoni rapporti in tutto il settore ex Margherita. Ed è chiaro che la spaccatura nulla aggiunge e nulla toglie all’inchiesta, ma dietro le quinte si è già scatenato il chiacchiericcio su chi avrebbe dovuto comandare o non comandare in Umbria, ché il congresso del partito locale, nel 2018, non aveva certo restituito un’immagine di compattezza: c’era stato infatti uno scontro tra la parte di Pd locale che guardava a Bocci e alla governatrice ora sotto indagine Catiuscia Marini (che dice di sentirsi “tradita” e si dichiara innocente), nonostante la precedente difformità di vedute tra Bocci e Marini, e la parte di Pd locale che guardava a Verini e ad Andrea Pensi. Poi però la quiete (apparente) era tornata su Perugia, anche per via dei problemi nazionali (sinistra alle prese con il governo gialloverde, dopo la batosta delle elezioni politiche), e Verini era rientrato nel ruolo di colui che lavora per la causa lontano dai riflettori (suo pallino, per esempio, la difesa dei giornalisti-coraggio minacciati dalle mafie).

 

E però Zingaretti, che all’area Pci-Pds-Ds è legato quanto Verini, ha mandato ora l’alter ego di Veltroni direttamente sulla linea del fronte giustizia-giustizialismo-garantismo. Ed è così che si è visto Verini, a caso “concorso Sanità” appena scoppiato, due giorni fa, e proprio mentre infuriava la polemica sullo scontro “tra diversi sistemi di potere”, assumere il ruolo di commissario con un’arringa alle truppe democratiche demoralizzate (“proprio ora che sembravamo risollevarci”, commenta sconsolato un insider): “La giunta regionale di Catiuscia Marini vada avanti”, diceva infatti Verini, ma metta il turbo e cambi marcia su quattro o cinque temi. Sanità e liste d’attesa, lavoro, innovazione nei rapporti tra politica e gestione. Non possiamo e non vogliamo rassegnarci a consegnare questa regione alla Lega”. E sottolineava, “non formalmente”, di avere “piena fiducia nella magistratura”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.