Armando Siri (foto LaPresse)

Tutti i punti deboli dell'inchiesta (fumosa) su Armando Siri

Ermes Antonucci

L’accusa si fonda su due aspetti: la tangente e gli emendamenti che sarebbero stati proposti in favore di Arata. Ma l’indagine scricchiola

Roma. Sono tante le cose che non tornano nell’indagine nei confronti del sottosegretario alle Infrastrutture e ai Trasporti Armando Siri, accusato di corruzione dalla procura di Roma nell’ambito di un’inchiesta partita a Palermo. Secondo gli inquirenti, il senatore e sottosegretario leghista avrebbe asservito le sue funzioni e i suoi poteri “ad interessi privati”, ricevendo “la promessa e/o la dazione” di una tangente da trentamila euro da parte dell’imprenditore Paolo Arata, amministratore di varie aziende del settore eolico, in cambio dell’inserimento in alcuni provvedimenti legislativi (il decreto Milleproroghe, la legge di Stabilità e il decreto Semplificazioni) di emendamenti in materia di incentivi per i minieolico favorevoli ad Arata. Nel filone palermitano dell’indagine, Arata è inoltre indagato per i suoi legami con il “Re dell’eolico” Vito Nicastri, ritenuto vicino al boss latitante Matteo Messina Denaro.

  

 

L’accusa contro Siri, quindi, si fonda su due aspetti: la tangente e gli emendamenti che sarebbero stati proposti in favore di Arata. Ma l’indagine scricchiola.

 

Della tangente di trentamila euro (in verità di modesta entità, visto che corrisponde all’incirca a due mensilità di stipendio da sottosegretario) non v’è traccia. L’unico elemento che al momento dimostrerebbe l’esistenza di questa mazzetta sarebbe l’intercettazione ambientale di una conversazione avvenuta tra Paolo Arata e il figlio Francesco. Alcuni quotidiani avevano diffuso i presunti contenuti dell’intercettazione quando ancora questa non era stata depositata dai pm romani al Tribunale del Riesame, riportando una frase che sarebbe stata pronunciata da Paolo Arata (“Mi è costato trentamila euro”) poi smentita da fonti interne alla procura. Quale che sia il contenuto (ancora ignoto) è bene ricordare che si è comunque di fronte a una semplice intercettazione, cioè a un mezzo di ricerca della prova, e non a una prova (nessuno è mai stato condannato in Italia sulla base di una mera intercettazione). Una captazione che, per giunta, non coinvolgerebbe direttamente il presunto corrotto (Siri), ma solo il presunto corruttore (Arata), che però nel privato è libero di dire ciò che vuole, anche di millantare.

 

Inoltre, se la frase intercettata fosse quella diffusa (“Mi è costato trentamila euro”), dovremmo dedurne che Arata si riferisse a una tangente già pagata. E qui arriviamo al secondo punto dolente dell’indagine. La mazzetta sarebbe stata pagata in cambio di un favore poi mai realizzato: gli emendamenti che sarebbero stati proposti da Siri, infatti, non sono mai stati inseriti nei provvedimenti legislativi e approvati.

 

Non solo. E’ ancora tutto da dimostrare il rapporto tra questi emendamenti e la presunta corruzione. Siri ha spiegato di aver inoltrato più volte a chi di competenza le proposte avanzate da varie categorie produttive, in una semplice logica di lobbying. “Arata mi ha stressato, mi chiamava continuamente. Tutti ti chiamano, poi le cose importanti tu le passi agli uffici, al legislativo. Le metti lì e qualcuno ci penserà. Ma io non ho mai telefonato a nessuno per caldeggiare niente”, ha dichiarato il sottosegretario al Corriere.

 

Gli emendamenti “incriminati”, formalmente presentati dal capogruppo leghista in Senato Massimiliano Romeo durante la discussione della legge di Stabilità e del decreto Semplificazioni, prevedevano l’estensione della concessione degli incentivi per gli impianti eolici. Misure di per sé difficilmente contestabili, visto che il contratto di governo siglato tra Lega e M5s prevede proprio il rafforzamento della produzione di energia rinnovabile. Gli emendamenti furono poi stralciati, con i grillini che accusarono i leghisti di realizzare una “sanatoria”. Eppure, come ha notato su questo giornale Valerio Valentini, mentre quei provvedimenti venivano cassati, il M5s presentava in Parlamento emendamenti ancor più generosi per le imprese del settore delle rinnovabili (poi a loro volta stralciati).

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