EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

S'aggira per l'Europa lo spettro del protezionismo

Paola Peduzzi e Micol Flammini

I viaggi incrociati di Macron e Michel. Il primo va da Biden, il secondo da Xi, con compiti molto diversi. Appunti sul futuro del mercato europeo

Un leader europeo va in America, l’altro va in Cina, nello stesso giorno, oggi, mentre attorno cadono costanti le bombe di Vladimir Putin sull’Ucraina, gli ucraini si industriano per sopravvivere al freddo e al buio e i cinesi protestano contro i lockdown efferati voluti da Xi Jinping. Charles Michel arriva a Pechino, mentre il regime studia la repressione contro i manifestanti: il presidente del Consiglio europeo deve sottoporsi a un test per verificare che non abbia il Covid. Poiché il suo staff non ha pensato di gestire questa pratica – il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che era andato in visita in Cina all’inizio di novembre, si era attrezzato e si era portato un medico da casa – Michel si deve affidare al tampone amministrato da un medico cinese. Nulla di grave, ma questo piccolo dettaglio mostra molte cose che tendiamo a non considerare quando ci approcciamo alla Cina. Tutto un altro clima (e nessun tampone) si respira invece nella visita americana iniziata ieri di Emmanuel Macron: la crisi del 2021 – quando gli americani assieme agli inglesi fecero saltare la commessa di sottomarini nucleari francesi destinati all’Australia e il capo dell’Eliseo chiese, senza essere ascoltato, che tutta l’Unione europea lo sostenesse nella sua ira funesta contro Washington – pare superata e gli sherpa che preparano l’incontro con Joe Biden dicono che questo incontro serve a mostrare quanto è solida l’alleanza transatlantica. Ma dietro ai buoni propositi ben più facili rispetto a quelli di Michel in Cina si nascondono delle insidie: sul rapporto con Pechino intanto, visto che gli americani vogliono che gli europei adottino la linea dura ma non trovano il consenso che vorrebbero. E poi ci sono i disaccordi emersi sul famigerato Inflation Reduction Act voluto da Joe Biden per contrastare la crisi energetica e che per gli europei è un atto puro ed esplicito di protezionismo ai loro danni. Proprio quest’ultima questione preoccupa moltissimo commentatori ed esperti, non soltanto per quel che riguarda gli americani: nel nuovo mondo che si sta costruendo dopo l’invasione della Russia in Ucraina si aggirerà incontrollato lo spettro del protezionismo? 


Abbiamo provato a capire se e quanto dobbiamo preoccuparci anche noi.

 

Noi, Biden e Pechino. Gli Stati Uniti chiedono all’Unione europea una linea comune sulla Cina, dall’altra parte, però, gli europei scandagliano l’Inflation Reduction Act di Biden e dicono agli americani: voi ci state ripetendo, seppure più gentilmente, America first, e noi dovremmo smettere di fare affari con Pechino?  L’Ue ha così iniziato a fare i suoi distinguo, a dire che non vuole un nuovo mondo diviso in blocchi, e che certo non sarebbe equidistante, ma insomma, sulla Cina ognuno facesse a modo suo. Andrew Small, analista del German Marshall Fund, ha pubblicato un libro dal titolo “The Rupture”, dedicato alla rivalità tra grandi potenze e a come è mutato il rapporto con la Cina. Gli abbiamo domandato cosa ne sarà del rapporto dell’Ue con Pechino, ora che gli Stati Uniti chiedono di restare uniti: “Se l’Ue raggiunge una posizione sua a seguito di un’analisi su rischi economici e sicurezza è giusto. Il problema si pone quando la posizione europea rispecchia più che altro una riluttanza ad adeguarsi alla realtà e non vede la traiettoria della politica interna ed estera cinese. Ripetere che l’Ue non vuole il disaccoppiamento dall’economia cinese, mentre Xi per primo avanza piani di disaccoppiamento e gli Stati Uniti sbrogliano le catene dell’approvvigionamento tecnologico, suona delirante”. L’atteggiamento dell’Ue potrebbe essere controproducente nel momento in cui mina la sua capacità di esercitare pressioni sulla Cina e di plasmare  il nuovo ordine economico. Avverte Small: “Più a lungo l’Europa non affronterà  la situazione, minore sarà la sua influenza, e più probabile sarà l’emergere di un ordine globale incoerente con gli interessi e i valori europei e più costosa sarà la resa dei conti finale”.  Dopo il disastro russo, c’è chi ancora continua a illudersi sulla Cina e ha interpretato  il larghissimo sorriso di Xi mentre incontrava Biden al G20 di Bali come il segnale che Pechino avesse mollato Putin. Questa settimana, Russia e Cina hanno concluso un’altra esercitazione militare, inedita. I caccia russi e cinesi hanno violato insieme le zone di identificazione aerea sopra al Giappone e sopra alla Corea del sud e poi i caccia russi sono atterrati in Cina e quelli cinesi in Russia. Se ci fosse bisogno di ulteriori dimostrazioni che l’alleanza è salda, eccone una. Small ci ha spiegato che “nel contesto di quella che considera una lotta a lungo termine con gli Stati Uniti e le democrazie liberali occidentali più in generale, Xi Jinping continua a vedere la Russia di Putin come un partner fondamentale. Pechino, in queste circostanze, non interferirà con la pianificazione della guerra di Mosca”. Una cosa è ottenere una dichiarazione generale in cui Pechino disapprova l’uso o la minaccia di armi nucleari – una dichiarazione standard della politica cinese – un’altra è che la Cina faccia pressioni sulla Russia. Ma c’è una cosa su cui Bruxelles e Washington non posso dissentire: la sicurezza.   Infatti, la Nato ha tenuto per la prima volta una riunione su come  sensibilizzare Pechino sulle conseguenze di qualsiasi azione militare contro Taiwan. E la cosa curiosa è che la sicurezza è spesso alla base di mosse protezionistiche, anche dell’Ue.      

 

Small: “Quanto più tardi l’Europa  affronterà  la situazione con la Cina minore sarà la sua influenza”

 

Mercatisti e colbertisti. L’Unione europea è per sua costituzione un’organizzazione liberoscambista. Le sue fondamenta sono ancora nel mercato unico, uno spazio di libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone, senza dazi o altre barriere non tariffarie, con parità di condizioni in termini di concorrenza al suo interno (il divieto di aiuti di stato illegali). In più, una delle sue competenze esclusive riguarda il commercio. E’ la Commissione che negozia i trattati di libero scambio in giro per il mondo ed è il Parlamento europeo che li ratifica al posto dei Parlamenti nazionali. Per natura, l’Ue vede la globalizzazione e l’interdipendenza come un valore positivo. Parole come disaccoppiamento o deglobalizzazione irritano  Bruxelles, dove si vorrebbe fare in grande, su scala globale, ciò che è stato così di successo in piccolo, su scala europea. Ma alla prova dei fatti, i ventisette stati membri dell’Ue sono sempre stati divisi in due campi sul commercio. Da una parte ci sono i mercatisti – la Germania, i Paesi Bassi, gli scandinavi – che vedono la libertà degli scambi e l’apertura della globalizzazione come migliori strumenti per la prosperità collettiva e l’innovazione. Dall’altra ci sono i colbertisti – la Francia e gran parte dei paesi del sud – che vorrebbero più intervento dello stato nell’economia e non esitano a invocare grosse dosi di protezionismo. Le linee di demarcazione interne all’Ue non sono cambiate significativamente negli ultimi anni e i mercatisti conservano il loro vantaggio. Ciò che è cambiato è il contesto globale e, soprattutto, l’attitudine degli altri due grandi attori della globalizzazione. Il protezionismo emerso negli Stati Uniti sotto l’Amministrazione Trump e i comportamenti predatori della Cina sotto la presidenza Xi Jinping stanno costringendo l’Ue e i suoi stati membri a rivedere il loro approccio complessivo al commercio. E il pendolo si è spostato leggermente verso i colbertisti.

 

La sovranità europea. I colbertisti rifiutano questa definizione. Loro preferiscono la bandiera della “sovranità europea”, lo slogan promosso dal presidente francese, Emmanuel Macron, che si traduce in più intervento dello stato, più aiuti pubblici all’industria e più barriere commerciali di ogni tipo. Ogni scusa è buona: ridurre le dipendenze dalla Cina su chip, batterie o terre rare; tenere a bada gli onnipotenti giganti del digitale americani; portare avanti il Green deal senza svantaggiare l’industria europea; rafforzare la difesa europea dando una mano ai produttori di armi del continente. La pandemia di Covid-19 e la guerra della Russia contro l’Ucraina hanno accelerato una tendenza già in atto. Dentro la Commissione di Ursula von der Leyen, è il commissario al mercato interno, il francese Thierry Breton, a farsi promotore della “sovranità europea”.

 

Protezionisti con la Cina. Sulla Cina è la sicurezza che ha spinto l’Ue a muoversi con strumenti di monitoraggio e regolamenti. Il gigante tecnologico Huawei di fatto è stata dichiarato “persona non grata” nello sviluppo delle reti 5G da gran parte degli stati membri. Dal 2020 è in vigore un meccanismo di controllo degli investimenti esteri nei settori strategici (infrastrutture, porti, tecnologie), disegnato in funzione anticinese. Anche le regole sui sussidi stranieri e le gare d’appalto sono state aggiornate per fare in modo che la Cina non possa usare il suo braccio economico-finanziario per diventare dominante dentro i mercati dell’Ue. I dazi antidumping contro Pechino sono stati usati con maggiore frequenza. Alcune lezioni del passato sono state apprese: dopo aver lasciato il quasi monopolio della produzione dei pannelli solari alla Cina per ragioni di convenienza per il consumatore finale, la Commissione ha usato i dazi per tenere la produzione di biciclette elettriche dentro l’Ue.

 

Tra mercatisti e colbertisti, il pendolo si è spostato verso i secondi. C’entrano le decisioni di Biden e l’atteggiamento di Xi

 

Protezionisti con Biden. Con gli Stati Uniti l’interdipendenza è più complicata. In passato ci sono stati grandi scontri commerciali, come la disputa Boeing-Airbus. La stagione di Donald Trump alla Casa Bianca per un pelo non si è trasformata in una guerra economica a colpi di dazi e contro dazi. Europa e America sono alleati, una soluzione amichevole si deve sempre trovare. Ma l’Europa guarda anche con invidia dall’altra parte dell’Atlantico. Il dominio tecnologico globale della Silicon Valley si è trasformato in un acronimo insultante (Gafam) sul Vecchio continente. Le scelte politiche vanno nella stessa direzione, ma senza far ricorso alle tradizionali armi dei conflitti commerciali. L’Ue preferisce la regolamentazione. Così sono nati il Digital Markets Act e il Digital Services Act (per inquadrare tutta l’attività delle grandi piattaforme), le norme sul caricatore unico (contro Apple) o l’accordo sulla tassazione minima delle multinazionali (che inizialmente doveva essere limitato ai giganti del digitali). Il principio: gli americani sono benvenuti nel mercato unico dell’Ue, ma devono rispettare le nostre regole. Con l’arrivo di Biden alla Casa Bianca, più che una pace, è stata firmata una tregua commerciale. L’Ue è andata avanti con la sua opera normativa che ostacola le imprese americane. Biden ha recuperato il “Buy American” del suo predecessore. E il suo Inflation Reduction Act ha dato un altro vantaggio ai colbertisti dell’Ue. Una delle ultime idee di Breton è la creazione di un “Fondo europeo per la sovranità”, che potrebbe essere usato per lanciarsi in un programma di sussidi stile Inflation Reduction Act. Ma c’è un problema. “Abbiamo i soldi per farlo?”, ci ha detto un diplomatico, che si è risposto: “No”. I margini del bilancio dell’Ue sono già esauriti. I paesi del nord si oppongono ad altro debito comune. Gli stati membri hanno accumulato enormi debiti pubblici. “Da una gara ai sussidi con gli americani, usciremmo con le ossa rotte”, dice il diplomatico.

 

La prima cena di stato della presidenza Biden fu riservata a Macron, proprio come era accaduto con Trump che in quella prima volta, nel 2018, si infatuò del giovane presidente francese. Sono girate leggende sul fatto che per questo nuovo incontro ci sia stata molta attenzione sulla necessità di evitare un menù, diciamo, autarchico. Qualcuno ha proposto addirittura ostriche, il frutto dell’oceano che separa le due sponde. Ma poi è stato sollevato il problema: anche in Australia le ostriche vanno forte. E tutto vogliono fare, Biden e Macron, tranne che ricordarsi l’ultima crisi diplomatica tra Washington, Canberra e Parigi. Non erano ostriche, ma sottomarini. 


(ha collaborato David Carretta)