La resistenza ucraina smonta la formula realista nei confronti dei regimi. L'incontro Macron-Biden

Paola Peduzzi

Le  proteste nella Repubblica islamica d'Iran e in Cina mostrano nuovi interlocutori. Le ingerenze straniere 

Milano. La visita di Emmanuel Macron a Washington che comincia oggi serve a sancire l’unità occidentale a sostegno dell’Ucraina contro l’invasione russa, dopo un inizio burrascoso nella relazione franco-americana a causa della commessa di sottomarini all’Australia da parte di Parigi saltata lo scorso anno in seguito a un’ingerenza di Joe Biden e del governo di Londra. “Ingerenza” non è una parola casuale: è diventato un termine che scandisce gran parte delle relazioni internazionali. Ancor più oggi che i temi di discussione nei vertici multilaterali si sono molto allargati: c’è la guerra, ma ci sono anche le sue conseguenze sugli altri paesi, intesi come governi e come popoli, come dimostrano le proteste in Cina e nella Repubblica islamica d’Iran. 

 

Le proteste in Cina che stanno sconvolgendo i mercati e che stanno già subendo la repressione mirata del regime di Xi Jinping mostrano che esiste un nuovo interlocutore: i cinesi, appunto, che hanno ribaltato in pochi giorni la nostra convinzione che opporsi al Partito comunista non fosse possibile. Allo stesso modo le manifestazioni iraniane che ormai vanno avanti da quasi ottanta giorni hanno avuto lo stesso effetto, anche se per il popolo iraniano c’è meno sorpresa e maggiore disagio: protesta da molti anni, a più riprese, ma l’occidente ha spesso distolto lo sguardo, e non è un caso che una delle richieste principali degli iraniani sia anche la più semplice: guardateci. La guerra di Putin in Ucraina ha trasformato parecchie certezze internazionali: ha fatto crollare il principio della “pax economica”, secondo cui il mercato avrebbe fatto da traino e da contenimento dei dispotismi; ha determinato un’unità occidentale, a livello politico e all’interno della Nato, che non era scontata e che regge, pur con qualche acciacco, nel tempo; ha rinsaldato il dialogo dentro l’Ue e quello transatlantico; ha mostrato che le persone, i popoli, contano, e che la storia la fanno certamente i blocchi di potere e i loro scontri, ma anche – e nel caso ucraino forse soprattutto – le persone. Questa riscoperta dopo anni di realismo in cui sono stati sacrificati i desideri di libertà e benessere di molti popoli – anche quello iraniano, che è rimasto tramortito nel balletto sfinente dell’accordo internazionale sul nucleare, quando nelle intenzioni doveva esserne il principale beneficiario – pone i leader occidentali di fronte al dilemma dell’ingerenza, l’arma a doppio taglio delle relazioni globali. 

 

Ogni protesta contro un regime, come vediamo in Iran e in Cina, viene letta dal regime come una ingerenza straniera: i paesi occidentali sono sempre considerati i burattinai esterni delle rivolte popolari, cosa che mostra da un lato la paranoia dei dispotismi nei confronti dei princìpi democratici (la stessa ossessione russa con l’Ucraina nasce, già dal 2014, dal fatto che gli ucraini guardassero a ovest e non a est) e dall’altro il disprezzo verso i propri popoli, che non sono trattati come cittadini autonomi in grado di avere delle ambizioni, ma come sottomessi manovrati da agenti esterni eversivi. I paesi occidentali però sono caduti in questa trappola, a volte per ragioni ideologiche, come può essere l’approccio America first e il ritiro dai contesti di guerra, più spesso perché ogni tentativo di interloquire con i movimenti dal basso e non con i regimi è stato trattato come un’ingerenza inopportuna: quel che accade dentro i confini di un paese non è affare degli altri paesi. C’è voluta l’ingerenza armata, brutale e genocidaria della Russia in Ucraina per mostrare i limiti di un approccio ai regimi illiberali fatto di illusioni e di cautele. 

 

Ora che  l’offensiva unitaria occidentale ha isolato la Russia, che la resistenza del popolo ucraino si è affacciata nei calcoli geostrategici come un elemento dirompente ed esemplare, alcuni si aspettano che i leader occidentali rivedano la loro postura precauzionale anche nei confronti dei dispotismi che si stanno allineando verso la Russia, come l’Iran e la Cina. L’incontro tra Macron e Biden potrebbe essere una prima occasione, visto che i funzionari di entrambi i paesi dicono che stanno osservando con molta attenzione le mosse di Teheran e di Pechino, come a dire: non è tutto permesso. Il numero di arresti è esorbitante nella Repubblica islamica (dalle 14 mila alle 18 mila persone) e aumenta nelle recentissime proteste cinesi, e anche se fa meno clamore del numero dei morti è in realtà allarmante, perché sappiamo cosa succede ai prigionieri dissidenti quando non li possiamo più vedere. E non è un’ingerenza non distogliere lo sguardo.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi