Foto di Efrem Lukatsky, via LaPresse 

un'analisi

La violenza della Russia non è colpa dell'occidente

Claudio Cerasa

Sull'invasione russa dell'Ucraina si sta diffondendo un benaltrismo generale che pretende di essere emblema di pacifismo e invece è solo il nuovo cavallo di Troia del putinismo

Succederà anche oggi, all’indomani del carosello di missili russi lanciati su Kyiv, e succederà ancora una volta seguendo uno spartito ormai consolidato, al centro del quale vi è sempre lo stesso concetto, la stessa idea, la stessa visione distorta del mondo: è colpa dell’occidente. Era colpa dell’occidente a fine febbraio, quando la Russia ha iniziato la sua opera criminale di distruzione dell’Ucraina e quando i professionisti del benaltrismo hanno fatto di tutto per avvelenare i pozzi, concentrandosi più sulle presunte colpe dell’uomo occidentale che sulle evidenti colpe dell’uomo putiniano, ed è successo lo stesso negli ultimi mesi, negli ultimi giorni, quando la colpa dell’uomo occidentale è diventata un’altra rispetto a quella individuata otto mesi fa.

 

A febbraio, la barbarie dell’uomo occidentale coincideva con la presunta volontà da parte dell’occidente di provocare Putin e il ragionamento del benaltrista collettivo era quello che avrete sentito spesso: se la Nato non si fosse avvicinata così tanto alla Russia, la Russia non avrebbe mai reagito attaccando l’Ucraina. Otto mesi dopo, otto mesi dopo i massacri russi, otto mesi dopo le fosse comuni, otto mesi dopo gli eccidi di Zaporizhzhia, otto mesi dopo gli asili bombardati da Putin, l’accusa oggi è più sottile ma è sempre coerente: se l’occidente non avesse scelto l’opzione guerrafondaia armando la resistenza dell’Ucraina, se l’occidente non avesse scelto di combattere contro la Russia una guerra per procura attraverso il sostegno incondizionato a Zelensky, se l’occidente non avesse messo l’Ucraina nelle condizioni di far saltare i ponti che collegano la Crimea alla Russia, se l’occidente non avesse scelto di chiudere al dialogo con Putin, tutto quello che stiamo vedendo oggi non ci sarebbe stato, la “reazione” della Russia non si sarebbe manifestata e il mondo, ovviamente, sarebbe più bello, a un passo dalla pace.

 

La pace, già. Bisognerà leggere con attenzione tra le righe in questi giorni anche quando la parola “pace” – e chi non vuole la pace? – verrà nuovamente offerta al pubblico in una confezione velenosa: quella del neutralismo. E anche qui il trucco è chiaro: se invochi la pace senza distinguere con chiarezza chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, se chiedi la pace lasciando intendere che l’unico ostacolo a un negoziato sia la testardaggine degli ucraini, se sostieni che aiutare gli ucraini sia un modo come un altro per allontanare la tregua, se consideri la volontà di riconquistare i territori perduti da parte dell’esercito ucraino come fosse il grande ostacolo alla via pacifista, se individui nelle sanzioni uno strumento di ulteriore deterioramento dei rapporti con la Russia, se fai tutto questo, se scegli cioè di andare in piazza senza avere ben chiaro che l’unico imperialismo che vale la pena di combattere oggi è quello russo, e non quello degli amici dell’America e della Nato, alla fine stai semplicemente affermando una serie di verità non troppo differenti da quelle che da mesi cerca di affermare Putin.

 

E cioè che l’unica via concreta, pragmatica, rapida, indolore alla stagione della nuova armonia sia far coincidere rapidamente la pace con la resa degli ucraini. Succederà anche oggi, all’indomani del carosello di missili russi lanciati su Kyiv, succederà ancora una volta seguendo uno spartito preciso, quello del senso di colpa dell’occidente, senso di colpa spesso foraggiato in questi mesi anche dal poco occidentale Papa Francesco, e succederà ancora una volta quando il professionista del benaltrismo, abituato a scendere tradizionalmente in piazza per difendere la pace dal famigerato aggressore americano e desideroso di considerare ogni violenza commessa dalla Russia in Ucraina non come una violenza a se stante ma come un atto che fa parte di una generica “spirale di violenza”, si farà una domanda simile a quella che si è posta domenica scorsa Milena Gabanelli: ma qualcuno a Washington e Bruxelles dice a Zelensky dove si deve fermare? Senza capire, naturalmente, che la domanda andrebbe fatta forse non a chi è aggredito ma semplicemente a chi sta aggredendo. È il benaltrismo, bellezza.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.