l'intervista

L'agenda comune a solidarietà limitata dei nemici di Israele

Micol Flammini

Avital Leibovich, direttrice dell’American jewish committee, ci racconta come è cambiato il quadro dal 7 ottobre e come lo sguardo che prima era concentrato sulla Striscia si stia espandendo. L'attacco a Beirut e il paletto nell'Asse della resistenza

Era iniziata come una guerra breve in tre passaggi: missione aerea, operazione via terra, costituzione di una zona di sicurezza tra Israele e la Striscia di Gaza. Prima che i soldati israeliani entrassero nella Striscia, i calcoli erano molto diversi. Poi l’operazione via terra è iniziata e  i tempi sono cambiati, mentre gli obiettivi rimangono gli stessi e si mettono in fila i rischi che crescono e il tentativo di costruire una nuova infrastruttura per garantire la sicurezza dello stato ebraico: “Ci vuole tempo per rimuovere la minaccia”, dice al Foglio Avital Leibovich, direttrice dell’American jewish committee in Israele. “Dopo il 7 ottobre, quando i commando di Hamas hanno colpito i kibbutz  confinanti con la Striscia di Gaza, sono trascorse  tre settimane prima che l’esercito arrivasse a mettere a punto l’ingresso nella Striscia. Quello che hanno trovato all’interno era diverso da ciò che pensavano di trovare all’inizio. E’ stato subito chiaro che ci sarebbe voluto del tempo prima di eliminare Hamas. Quando operi dall’aria vedi alcune cose, dall’interno tutto cambia e i soldati hanno scoperto  l’arsenale che Hamas aveva ammassato tra strade, abitazioni, ospedali, scuole. Anche le informazioni che Israele ha raccolto interrogando i terroristi catturati durante l’attacco ai kibbutz sono servite a capire meglio che tipo di nemico fosse diventato Hamas”. Il quadro è cambiato dal 7 ottobre e lo sguardo che prima era concentrato sulla Striscia, si sta espandendo, coinvolge ogni lato di Israele.

 

Martedì, un drone ha colpito un ufficio di Hamas in una zona meridionale di Beirut, uccidendo alcuni membri dell’organizzazione, tra i quali Saleh al Arouri. “Era uno dei cinque uomini che contano di più dentro a Hamas e durante le negoziazioni sugli ostaggi era tra i contrari al   compromesso. Spingevano per soluzioni estreme che sapeva bene Israele non avrebbe mai accettato. Il fatto che sia stato eliminato ha generato possibilità per un nuovo accordo”. Hamas ha congelato i negoziati, i  qatariniinvece non hanno notificato la sospensione del loro ruolo di mediatori. Potrebbero essere misure temporanee, per lasciar scorrere i giorni e far passare la rabbia per l’eliminazione di Arouri, che però non era soltanto un membro di spicco di Hamas, era anche un uomo talmente vicino ai miliziani sciiti di Hezbollah da aver ricevuto un ufficio nel loro quartier generale. Era  un uomo avvezzo a viaggiare in Iran, un punto di raccordo tra vari paesi e anche tra i vari leader della sua stessa organizzazione terroristica, capace di trovare la sintesi tra Ismail Haniyeh, che vive a Doha e viene definito capo politico, e Yahya Sinwar, che invece gestisce le operazioni dalla Striscia e viene definito capo militare. “Sappiamo dal passato che non è facile riempire il vuoto nelle organizzazioni terroristiche, non è vero che chiunque è rimpiazzabile. Ci vuole tempo per colmare il vuoto, soprattutto nel caso di Arouri.  Adesso anche Hezbollah sta valutando le sue opzioni. Ne ha due: pagare il prezzo dei suoi attacchi che vanno avanti contro Israele o prendere la strada della diplomazia”.

 

Prima di Arouri, il giorno di Natale era stato ucciso Sayed Radhi Mousavi a Damasco. L’eliminazione del leader di Hamas e del generale coautore della politica militare iraniana sono anche un messaggio all’Iran, regista dell’asse che tiene insieme i terroristi dallo Yemen alla Striscia . “Tutti i gruppi che fanno parte del cosiddetto Asse della resistenza condividono lo stesso modo di agire, imparano l’uno dall’altro, collaborano. Però la solidarietà di Hezbollah e dell’Iran è sempre stata chiara: non complichiamoci le cose per aiutare i palestinesi”. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.