Fumio Kishida, il presidente del Giappone - foto Ansa

editoriali

Perché la crisi giapponese ci riguarda

Redazione

Così rischia di saltare il governo Kishida, il nostro alleato più forte nel Pacifico

Finito l’anno della presidenza del G7, in Giappone i problemi politici interni hanno investito la leadership del primo ministro Fumio Kishida e dell’intero Partito liberal democratico. Ma per la terza economia del mondo, uno dei partner più forti e cruciali dell’alleanza occidentale nell’area dell’Indo-Pacifico, non si tratta solo di una questione politica. È un problema più ampio, legato alla struttura democratica del paese e la sua credibilità sullo scenario internazionale sempre più condiviso e connesso, una crisi che rischia di far saltare uno dei governi più decisivi nella postura dell’alleanza democratica contro le minacce contemporanee rappresentate da Russia e Cina.

Lo scandalo è iniziato qualche settimana fa e si è propagato velocemente: diverse fazioni del partito di maggioranza avrebbero nascosto centinaia di milioni di yen di fondi politici nel corso degli anni, in uno schema che vedeva alcuni parlamentari ricevere i proventi dalla vendita di biglietti per eventi di partito che venivano trattenuti in nero senza essere dichiarati come fondi elettorali. Ieri Kishida ha superato una mozione di sfiducia in Parlamento avanzata dall’opposizione, ma ha detto di voler procedere all’ennesimo rimpasto di governo: sono quattro per ora le poltrone dei ministeri in bilico, tutte occupate da membri della fazione che faceva capo all’ex primo ministro Shinzo Abe prima del suo assassinio: il segretario di gabinetto Hirokazu Matsuno, il ministro del Commercio Yasutoshi Nishimura, il ministro dell’Interno Junji Suzuki e il ministro dell’Agricoltura Ichiro Miyashita, più diversi sottosegretari e ruoli apicali del Partito liberal democratico. “Mi batterò in prima linea per cambiare la cultura del partito. Questa è la mia missione”, ha detto ieri Kishida. Ma l’anno che sta per cominciare non è dei più facili. Il sostegno popolare al partito di governo ha toccato il minimo degli ultimi dieci anni (sotto il 30 per cento) e non a caso i giapponesi hanno scelto qualche giorno fa il kanji, cioè l’espressione dell’anno: è “zei”, cioè tasse.

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