(foto LaPresse)

La bugia albanese

L'accordo Meloni-Rama è l'ultima puntata di un metodo ricorrente tra Roma e Tirana

Nicola Pedrazzi

Noi usiamo l'Albania per raccontarci come siamo bravi e che bella influenza abbiamo nei Balcani. L'Albania ci usa per essere accreditata a livello europeo. E' una dinamica che va avanti da tempo, senza farsi le domande necessarie

Si è molto parlato del memorandum firmato dai governi italiano e albanese per creare uno spazio “italiano” su territorio albanese, dove allestire due centri di accoglienza e identificazione migranti. I commenti si sono giustamente concentrati sull’impraticabilità logistica e giuridica del piano: non solo perché la rotta del Mediterraneo centrale dista centinaia di chilometri dalle coste albanesi, ma perché non si capisce come sia possibile richiedere asilo all’Italia da un altro paese, né cosa accada alla persona che lo faccia nell’eventualità in cui la richiesta venga rifiutata. Nessuna domanda è stata fatta al termine della surreale conferenza stampa di Giorgia Meloni ed Edi Rama. La cosa non stupisce, perché le relazioni italo-albanesi sono ormai da un decennio una farsa. Funzionale però ad entrambi i paesi. L’Italia usa l’Albania per fingere di saper stare nel Mediterraneo. In Albania siamo stati importanti negli anni Novanta: non siamo riusciti a rimanere influenti, ma chi la governa oggi è cresciuto con la Rai, può raccontarci nella nostra lingua che siamo stati bravi e che è in debito con noi, chiediamogli di aiutarci a simulare che abbiamo una politica estera assertiva. L’Albania dal canto suo usa l’Italia come garante acritico della sua europeità: io faccio la parte del paese memore e grato, tu dici a tutti che io per responsabilità sono già, di fatto, un paese Ue: non come quei cattivoni della Commissione europea che mi testano sui capitoli dei negoziati di adesione e non mi fanno entrare.

 

Questo copione da noi piace a tutti. Piace alla sinistra, che si commuove nel vedere un paese povero ma solidale (peraltro un’ex colonia, e il cocktail è servito). E piace alla destra, perché lo sviluppo di questa Albania è il frutto dei nostri meriti, di quanto siamo stati belli e bravi con degli inferiori, altroché razzisti. Solo che ora Rama “il socialista” ha recitato la parte con Meloni, e almeno a sinistra la narrazione è saltata. Nel Pd ci si è finalmente chiesti come sia possibile immaginare per il Partito socialista albanese un posto nella famiglia del socialismo europeo. La domanda è esteticamente sensata, ma in realtà ha poco senso perché in Albania non sono mai esistiti partiti massa, legati a dei valori e a delle basi sociali, stiamo parlando di un paese che non ha mai conosciuto la democrazia liberale. 

 

Nell’intervista rilasciata a questo giornale, Rama si è divertito a dire che la protesta dei “due Pd” (in Albania è “democratico” il partito di destra, perché vengono da una dittatura comunista) non va da nessuna parte, e ha giocato sul fatto che in Italia protesta la sinistra mentre in Albania protesta la destra, come se ci fosse una contraddizione ideale negli altri, non in lui. La realtà è che il partito “socialista” di cui Rama è leader è una delle due metà del partito unico di Enver Hoxha: una delle due clientele in cui si è diviso il paese dopo la caduta del Muro, quando per gli albanesi è iniziata la “recita delle democrazia”. Le prime elezioni Edi Rama le ha vinte nel 2013. Dieci anni dopo la corruzione è ancora endemica, l’economia è informale e fondata sulle rimesse, il tasso di emigrazione dei giovani altissimo, il pluralismo politico e dei media è mangiato da un partito sempre più unico. Perché laddove i partiti sono luogo di scambio e di potere, non ha senso stare all’opposizione. Chi conosce l’area balcanica lo sa. Governante di un paese fragile, Rama passa il suo tempo all’estero a curare la sua immagine di leader d’area, tra il Mediterraneo, i Balcani e la Turchia. Possiede copioni consolidati per ogni scenario: in Kossovo è un nazionalista, a Bruxelles un pacificatore, a Parigi un artista che sfila con le matite colorate nel taschino dopo gli attentati di Charlie Hebdo, in Turchia un leader di un paese musulmano, in Vaticano il leader di un paese simbolo del dialogo interreligioso. 

 

L’Albania è un stato piccolo e di cerniera: il suo equilibrismo è per certi versi necessario. Ma a maggior ragione quando chi la governa viene in Italia potremmo fargli qualche domanda. Anche perché ormai la fiction è trita. Già nel 2018 Rama finse di aver sbloccato la crisi della nave Diciotti, offrendosi di ospitare una quota dello sbarco bloccato da Salvini: cosa mai avvenuta, ma se vi leggete i giornali del tempo vedrete quanto fu bipartisan l’applauso all’”accoglienza albanese”. Cinque anni dopo siamo fermi lì: solo che questa volta l’hanno sparata molto grossa, mettendo nero su bianco i dettagli, e sarà più difficile, tra qualche mese, quando nulla di ciò che è scritto nel memorandum verrà realizzato, far dimenticare la menzogna. Per quanto ci riguarda, che il governo si rifugi nel grande classico della “bugia albanese” è sintomo di quanto sia in difficoltà a farsi ascoltare nella realtà, sui tavoli europei innanzitutto. Edi Rama è l’amico che chiami quando proprio non sai cosa fare. Non essendo russo, almeno la disinformazione la si scrive insieme.

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