l'intervista

“L'intesa con l'Albania rispetta la Costituzione”, dice Mirabelli, ex presidente della Consulta

Ermes Antonucci

Il presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli: "L'accordo con Tirana si muove nell'ambito della Costituzione e del diritto internazionale. Prevede la delocalizzazione dei centri di gestione dei migranti, con il medesimo trattamento che ci sarebbe in Italia"

"Il protocollo siglato con l’Albania per la gestione dei migranti si muove nell’ambito della Costituzione e del diritto internazionale. Sul piano dei contenuti, stabilisce degli elementi di extraterritorialità: vengono costituiti in territorio albanese dei centri di accoglienza  sottoposti alla gestione e alla giurisdizione italiana. Si potrebbe parlare di una sorta di delocalizzazione dei centri di gestione dei migranti, con il medesimo trattamento che ci sarebbe in Italia, e con delle esplicite affermazioni di garanzia dei diritti che derivano dalle convenzioni internazionali. Bisognerà vedere se l’esecuzione dell’accordo sarà conforme a questo disegno”. Così Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, commenta con il Foglio l’accordo Italia-Albania sull’immigrazione. Nessuna strage di diritti umani, insomma. Nessuna palese violazione della Costituzione, come sostenuto dalle opposizioni. 

 

“Nell’accordo non vengono previste limitazioni dei diritti della persona”, sottolinea Mirabelli. “Anzi, viene garantita l’applicazione delle norme di diritto internazionale e delle garanzie applicate in genere nell’Unione europea”. L’accordo, per esempio, assicura il diritto di difesa, garantendo l’accesso ai centri di permanenza per il rimpatrio agli avvocati e alle organizzazioni internazionali e alle agenzie dell’Unione europea che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale. E’ previsto anche l’obbligo per l’Italia di garantire i servizi sanitari essenziali. Una volta attuato l’accordo, in Albania potranno essere trasferiti solo i migranti in arrivo da paesi considerati sicuri, esclusi donne e minori. Le strutture potranno ospitare tremila migranti al mese.

 

“La finalità – spiega Mirabelli – è quella di accertare se sussistono o meno i requisiti per la protezione internazionale o l’asilo, entro i tempi previsti”. C’è chi sostiene che il trasferimento dei migranti salvati in mare dalle navi militari italiane verso l’Albania configuri un respingimento, vietato dalle convenzioni internazionali. “Per avanzare questa accusa si dovrebbe sostenere che l’Albania non sia sicura e che non siano sicure neanche le attività che sono garantite sotto l’impegno della sovranità italiana in quel paese”, replica Mirabelli. Insomma, prosegue il presidente emerito della Consulta, “non è un allontanamento o un abbandono dei migranti in un altro paese. Al contrario, i migranti non potranno rimanere in quei centri se non per i tempi previsti dalla legislazione italiana per le operazioni di controllo. Sono centri delocalizzati e sottoposti alla gestione e alla giurisdizione italiana”.

 

Una situazione ben diversa da quella tentata dalla Gran Bretagna con il piano che prevedeva il trasferimento dei migranti in Ruanda, bocciato sia dai tribunali inglesi che dalla Corte europea dei diritti umani. Come già notato dalla Commissione europea, l’accordo Roma-Tirana prevede l’applicazione della giurisdizione italiana e non del paese “ospitante”. La Gran Bretagna, invece, aveva lasciato che si applicasse la legislazione del Ruanda. “Bisogna anche considerare l’aspetto della distanza – aggiunge Mirabelli – L’Albania probabilmente dista dall’Italia meno della Sardegna”.

 

Sul piano del rispetto del diritto costituzionale, dunque, l’accordo con l’Albania (in attesa della sua attuazione) sembra reggere. 
Ben diverso appare essere, invece, il discorso relativo alle implicazioni pratiche dell’intesa. Non solo non è chiaro come potranno svolgersi, in terra albanese, i contenziosi giudiziari riguardanti l’esame delle domande d’asilo. Ma c’è da prendere atto che, una volta terminate le procedure, i migranti sono comunque destinati a tornare in Italia, sia nel caso che la domanda d’asilo sia stata accolta, sia nel caso che sia stata negata, in quest’ultimo caso per  essere rimpatriati. E in Italia l’anno scorso su 28 mila ordini di espulsione sono stati eseguiti solo 2.900 rimpatri. 

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