Bruxelles

Il sostegno a Kyiv non è più incrollabile. Tutte le misure che l'Ue non riesce ad approvare

David Carretta

L'Europa è in stallo. Borrell non cita più il fondo da 20 miliardi per le forniture militari all'Ucraina. Manca la volontà politica

L’Unione europea non riuscirà a mantenere la promessa di fornire un milione di proiettili di munizioni all’Ucraina entro il marzo del 2024. I ventisette stati membri sono lontani da un accordo sulla proposta di concedere 50 miliardi di euro di aiuti finanziari a Kyiv nei prossimi quattro anni e si preparano ad abbandonare l’idea di creare un fondo da 20 miliardi per le forniture militari. Anche il dodicesimo pacchetto di sanzioni contro la Russia sta accumulando sempre più ritardo, mentre la Commissione non ha ancora presentato alcuna proposta per usare gli attivi russi congelati a favore di Kyiv. Nel frattempo, il premier ungherese, Viktor Orbán, minaccia già il veto all’apertura dei negoziati di adesione dell’Ucraina, infischiandosene del parere positivo della Commissione e della volontà politica degli altri leader.

Nella guerra scatenata dalla Russia, non è solo la controffensiva ucraina a essersi bloccata. Anche l’Ue è in stallo. I ministri degli Esteri e della Difesa dell’Unione europea si ritroveranno lunedì e martedì a Bruxelles. Come d’abitudine, la guerra della Russia contro l’Ucraina è in agenda, ma nell’ordine del giorno è stata declassata a seconda priorità, dopo il medio oriente e la situazione umanitaria a Gaza. “Il contesto – spiega al Foglio un diplomatico europeo – è di fatica generale attorno all’Ucraina”. Non che manchino temi da discutere per dimostrare la volontà di “sostegno incrollabile”. L’aiuto americano rischia di esaurirsi per l’incapacità del Congresso di approvare un nuovo pacchetto finanziario. L’Ue avrebbe l’occasione di dimostrare di essere all’altezza. Ma il piano per la fornitura di un milione di munizioni in un anno, lanciato lo scorso marzo, all’improvviso è diventato “troppo ambizioso”. Il Servizio di azione esterna diretto da Josep Borrell ha informato gli stati membri che finora è stato fornito soltanto il 30 per cento delle munizioni (tra 300 e 350 mila proiettili) e che l’obiettivo di un milione non sarà raggiunto entro marzo del 2024. “L’idea di spostare la scadenza è sul tavolo”, conferma il diplomatico. Le scuse addotte dal Servizio di azione esterna di Borrell sono varie: colli di bottiglia nella filiera della produzione di armi, la carenza di polvere da sparo o gli stock nazionali che si stanno svuotando. Ma dietro c’è anche la mancanza di volontà politica di alcuni stati membri. La Francia non ha firmato nessuno dei contratti quadro negoziati dall’Agenzia di difesa europea per il piano di un milione di munizioni. “Se non ci sono ordinativi e i governi non mettono i contanti, l’industria non produce”, spiega un funzionario europeo.

Su armi e munizioni c’è una decisione che è in sospeso da molti mesi: il via libera all’ottava tranche della European Peace Facility da 500 milioni di euro per finanziare le forniture militari a Kyiv. La proposta di Borrell risale della scorsa primavera. Da allora l’Ungheria blocca, nonostante Kyiv abbia ceduto alla richiesta di Budapest di togliere dalla lista delle organizzazioni sponsor della guerra la banca ungherese Otp che opera in Russia. “L’Ungheria è come le bambole russe”, dice una fonte europea: “Quando una scusa viene meno, trova sempre un’altra scusa e poi un’altra scusa. È snervante”. Diversi paesi sono irritati, dato che i 500 milioni servono a rimborsare gli stati membri per le armi già trasferite a Kyiv. Budapest si oppone anche alla proposta di Borrell di creare un fondo speciale per l’Ucraina all’interno della Peace Facility dotato di 20 miliardi per finanziare le forniture di armi nei prossimi quattro anni nell’ambito delle garanzie di sicurezza fornite dall’Ue. Ma l’Ungheria non è da sola. La Germania sembra preferire il sostegno militare bilaterale, anche perché dovrebbe versare il 25 per cento dell’intera somma. Anche la Francia e altri contestano la cifra di 20 miliardi, che ormai non viene più citata da Borrell. Le ristrettezze di bilancio nazionali sono una delle ragioni che spiegano la frenata. 

A causa del potere di veto, Orbán rischia di diventare un ostacolo insormontabile anche su altre misure ritenute indispensabili per l’Ucraina. Nelle scorse settimane, ha minacciato di bloccare la proposta della Commissione di stanziare 50 miliardi di prestiti e sovvenzioni all’Ucraina tra il 2024 e il 2027. I funzionari dell’Ue sono costretti a lavorare a un piano B senza l’Ungheria: invece di usare il bilancio comunitario, gli stati membri dovrebbero fornire garanzie finanziarie bilaterali per permettere alla Commissione di raccogliere i fondi sui mercati.

Ieri Orbán ha sparato contro il percorso europeo dell’Ucraina. “I negoziati di adesione non devono essere avviati”, ha detto il premier ungherese, chiudendo la porta a un possibile baratto con i fondi europei. “Voglio precisare che il rifiuto ungherese di avviare negoziati con l’Ucraina (...) non può essere legato alla questione dei fondi che spettano all’Ungheria”, ha detto Orbán. I ministri degli Esteri dell’Ue non potranno nemmeno discutere di sanzioni. In visita a Kyiv sabato scorso, Ursula von der Leyen aveva annunciato che il dodicesimo pacchetto sarebbe stato presentato questa settimana. “Le discussioni sono ancora in corso”, ammette la fonte europea: sulle sanzioni “non ci saranno proposte concrete per i ministri al Consiglio Affari esteri”.

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