L'impasto ucraino

I corpi di Kharkiv, il tempo del lutto e quello della battaglia e un video anti scettici girato in cucina

Paola Peduzzi

Perché c’è tanta impazienza nei confronti dell’Ucraina attaccata: a Kyiv non è concessa la stanchezza, così come non è concessa la lentezza neppure se è strategica come quella che caratterizza la controffensiva

Ieri mattina due missili russi  hanno colpito la città di Kharkiv, la seconda città più grande dell’Ucraina a trenta chilometri dal confine con la Russia, occupata, liberata, attaccata e riattaccata più volte in questi quasi seicento giorni di invasione dalle forze di Vladimir Putin: una nonna di sessantotto anni e suo nipote di dieci anni sono morti, il nipotino di undici mesi è ferito assieme ad altre trenta persone almeno. Il ministero dell’Interno ucraino ha pubblicato un video dei crateri, con le macerie, il condominio distrutto, due danneggiati mentre arrivavano le immagini del lutto di Hroza, un paesino a ottanta chilometri da lì, dove giovedì un altro attacco russo ha fatto 51 morti: non c’è famiglia qui che non abbia un parente morto in questo che è l’attacco più mortale del 2023 perché il paese era riunito a commemorare la morte di un soldato ucraino. Il soldato era di Hroza, aveva combattuto contro i russi invasori l’estate dello scorso anno ed era stato ucciso, e giovedì i suoi famigliari e gli amici gli stavano dando una seconda sepoltura nella sua terra – questi sono i tempi dei lutti, dei funerali, dei viaggi dei corpi. 

 

La percezione del tempo, in Ucraina, è come molte altre cose  diversa rispetto alla nostra, si muove tra l’urgenza di avere armi e aerei migliori per contrastare l’indefesso terrore russo e l’estensione di una guerra lunga scandita dalle uccisioni e dalle ricostruzioni, dall’alternarsi della morte e della vita a un ritmo spietato. Se chiedi agli ucraini: siete stanchi?, rispondono: esausti, ma anche la stanchezza è diventata uno strumento della propaganda russa, perché vuol dire debolezza – e dovremmo aver capito che Vladimir Putin si ferma soltanto di fronte alla forza, se vede debolezza attacca con più intensità e violenza. Agli ucraini non è concessa la stanchezza, così come non è concessa la lentezza neppure se è strategica come quella che caratterizza la controffensiva (talmente inefficace che ha affondato parte della Marina russa!), perché altrimenti scatta in buona parte dell’opinione pubblica occidentale la tentazione di congelare il conflitto, come se fosse una via percorribile.

 

Mentre seppelliscono i loro morti, gli ucraini scongiurano questa ipotesi chiedendo e offrendo pazienza. Un video delle Forze armate pubblicato nei giorni scorsi  mette in fila tutte le domande scettiche nei confronti della tenuta ucraina e risponde utilizzando la metafora dell’impasto – in ucraino si può utilizzare lo stesso termine per dire impastare e combattere. C’è un soldato che entra in cucina, appoggia il fucile, toglie i guanti e inizia a riempire una ciotola con la farina mentre compaiono dei messaggi: ora inizierà a fare l’impasto? qualcosa si muove, stanno iniziando, ma perché sono ancora in modalità silenzio? La musica si fa più intensa, il soldato inizia a setacciare la farina e di nuovo i messaggi: puoi andare più veloce? perché così tanta farina, è necessaria tutta? non c’è troppo poco sale? E poi altri dubbi: il cuoco sembra troppo pulito, qualcosa non torna, forse è tutta una montatura. Il soldato continua a impastare, anche i messaggi: tutta la farina viene rubata a monte, ai panettieri non arriva niente, ma sta davvero impastando o ci prende in giro? Ah sì, in effetti impasta ma non lo sa fare nel modo corretto, chi lo ha addestrato e perché ci sono tutti questi mixer forniti dagli occidentali? A un certo punto, il soldato mette l’impasto dentro la ciotola, la copre con uno straccio e la fissa senza fare nulla: che cosa sta aspettando? perché l’impasto lievita così lentamente? Avrete capito, alla fine il soldato tira fuori dal forno una pagnotta perfetta, i messaggi continuano, la firma è: Forze armate ucraine che impastano, quindi combattono, dal 2014.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi