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il forum della Comunità politica europea

Ci voleva Zelensky a salvare il vertice della Cpe a Granada

David Carretta

Al vertice spagnolo emergono tutte le debolezze ai confini dell’Ue. Il presidente ucraino ridà un senso alla Cpe

Ci è voluto Volodymyr Zelensky  in persona per ridare un po’ di senso al vertice della Comunità politica europea che si è tenuto ieri a Granada. Forum informale di leader dell’Unione europea e dei paesi extra-Ue, nata sulla scia della guerra della Russia contro l’Ucraina per discutere delle sfide geopolitiche del continente, la Comunità politica europea si è già persa nello status quo ante il conflitto ucraino. Di fronte ai “tornado politici” in America, “l’Europa deve essere forte” e “non abbassare le vele in attesa della fine della tempesta”, ha detto il presidente ucraino Zelensky. Gli europei non possono permettersi il lusso della stanchezza, o di abbandonare l’Ucraina a un conflitto congelato. Ne va della sicurezza di tutti. Perché nel 2028 l’Europa rischia un altro “momento critico” con la Russia pronta ad attaccare altri obiettivi.

Lo status quo ante della guerra della Russia contro l’Ucraina è quello di un’Europa divisa, incapace di incidere sui focolai esplosivi dentro o appena fuori i propri confini, con ciascun leader che spinge per la sua agenda e le sue priorità. E’ accaduto anche ieri al vertice della Comunità politica europea di Granada. L’ospite Pedro Sánchez è tutto preso dalla maggioranza per restare al governo in Spagna, ha parlato di amnistia per i catalani e ha perfino cancellato la conferenza stampa finale.  Giorgia Meloni e Rishi Sunak hanno  lanciato un “caucus” a favore della linea dura su migranti e trafficanti. Almeno Zelensky ha rifocalizzato l’attenzione su ciò per cui la Comunità politica europea era stata creata sulla base di un’idea di Emmanuel Macron: discutere delle sfide comuni al continente, a partire dall’architettura di sicurezza dell’Europa in senso largo, che si estende dal Regno Unito del post Brexit al Caucaso, passando per la Turchia. “Possiamo avere i nostri punti di vista e, a volte, opinioni diverse su questioni europee. Ma siamo tutti Europa. E non è solo questione di geografia: è storia, moralità e sicurezza che condividiamo”, ha ricordato Zelensky. L’Ucraina ha bisogno di armi. Difesa aerea per l’inferno, artiglieria e obici, missili a lungo raggio, droni che servono a “garantire che nel prossimo futuro non ci sia guerra in nessuna parte d’Europa”, ha detto: “Grazie all’Ucraina, i vostri non stanno combattendo contro la Russia in questo momento. Non dubitiamo della forza della Nato. Ma sono sicuro che nessuno di voi vuole sapere come sarebbe se, Dio non voglia, la Nato dovesse difendere uno di voi. Dobbiamo vincere in Ucraina per fare in modo che Putin non possa estendere questa aggressione contro qualcun altro”. Se il conflitto verrà congelato, ci sarà “un nuovo momento critico: il 2028”. Entro allora la Russia “avrà ripristinato il suo potenziale militare che abbiamo distrutto e sarà abbastanza forte da attaccare” i Baltici e altri paesi, ha avvertito il presidente ucraino. Di concreto Zelensky ha ottenuto una batteria Patriot dalla Germania, 6 lanciarazzi Hawk dalla Spagna e 500 milioni di sterline dal Regno Unito.

Pur avendo un solo anno di vita, la Comunità politica europea è già in crisi. Doveva contribuire a risolvere le grandi sfide geopolitiche e, invece, a Granada gli europei si ritrovano di fronte alla realtà della loro impotenza nel loro stesso continente. In Nagorno-Karabakh, nel nord del Kosovo o sullo stallo dell’adesione della Svezia alla Nato. Malgrado molti sforzi negli ultimi tre anni, il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, non è riuscito a mediare tra Azerbaigian e Armenia. Al vertice di giugno a Chisinau sembrava fatta, dopo che Michel aveva messo attorno allo stesso tavolo il presidente azero, Ilham Aliyev e il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, insieme al presidente francese, Emmanuel Macron e al cancelliere tedesco, Olaf Scholz. Ma l’Ue si è fatta cogliere totalmente impreparata dalla guerra lampo azera per riprendersi il Nagorno-Karabakh. A Granada sperava di raccogliere i cocci, avviando una normalizzazione tra i due paesi, con il riconoscimento dei confini. Ma Aliyev ha deciso di boicottare il vertice. Le promesse dell’Ue di aiuti economici e militari all’Armenia appaiono deboli rispetto alle minacce azere e, sempre più, a una Russia che non tollera l’orientamento occidentale di Pashinyan.

La stessa impotenza dell’Ue ha aggravato la crisi nel nord del Kosovo. In questo caso la responsabilità principale è dell’Alto rappresentante, Josep Borrell, la cui strategia è stata di placare la Serbia e sanzionare il Kosovo. L’obiettivo era non spingere Aleksandar Vucic nelle braccia di Putin. Il risultato è stato che Vucic rimane risolutamente pro russo, ma lascia i commando serbi condurre attacchi terroristici nel nord del Kosovo, come accaduto a fine settembre nel monastero di Banjska. A Granada i leader europei si sono nascosti dietro a una scusa per non discutere del rischio di nuova esplosione nei Balcani e mettere Vucic davanti alle sue responsabilità: il Kosovo era rappresentato dalla presidente, Vjosa Osmani, e non dal primo ministro, Albin Kurti. L’altro grande assente era il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, che non aveva nemmeno partecipato al vertice di Chisinau a giugno. Così nessuno ha potuto ricordare a Erdogan gli impegni assunti al vertice della Nato di Vilnius a luglio, quando aveva solennemente promesso di ratificare l’ingresso della Svezia nell’Alleanza atlantica.

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