Tra Washington e Kyiv

L'attacco devastante a Hroza, in Ucraina, e i “nuovi strumenti” per far pagare Putin

Paola Peduzzi

Uno studio sui 300 miliardi di dollari di asset russi che Joe Biden può smobilitare. Il presidente degli Stati Uniti ha in programma un discorso per fare chiarezza sugli aiuti e Kyiv

Milano. Il presidente americano, Joe Biden, ha in programma un discorso che faccia chiarezza sugli aiuti a Kyiv, dal momento che si ammonticchiano allarmismi e si montano campagne sulla presunta stanchezza degli alleati occidentali, mentre la violenza russa si riversa su tutta l’Ucraina indiscriminata. Ieri le bombe russe hanno colpito un negozio di alimentari e una caffetteria di Hroza, nel distretto di Kupiansk, nella regione di Kharkiv, dove si stava tenendo una commemorazione funebre: ci sono almeno 48 morti. Hroza aveva cinquecento abitanti, in un solo raid, Vladimir Putin ne ha ucciso il dieci per cento e intanto, in un evento pubblico a Sochi sul Mar Nero, ha detto: “Non abbiamo iniziato noi la cosiddetta guerra in Ucraina, al contrario stiamo cercando di finirla” e ha accusato  gli Stati Uniti “egemoni” di averla cominciata.

 

Il prossimo pacchetto di aiuti è di   24 miliardi di dollari ed è necessario, il caos repubblicano alla Camera rischia di rallentarlo e per questo Biden  ha detto che ci sono “altri strumenti” per garantire il flusso di aiuti evitando che restino ostaggio della schizofrenia anti ucraina americana: uno di questi strumenti è spiegato in un documento dal titolo “Far sì che Putin paghi”. E’ uno studio della Renew Democracy Initiative e uno degli autori è Larry Tribe, un noto costituzionalista di Harvard della sinistra radicale che ben rappresenta l’approccio deciso a favore di Kyiv senza infingimenti pacifisti, come dimostra il tweet di qualche giorno fa del senatore Bernie Sanders: “Mi auguro che il Congresso garantisca molto presto il sostegno finanziario all’Ucraina che sta combattendo coraggiosamente contro l’aggressione russa”. La conclusione di questo studio di quasi duecento pagine è che il presidente americano ha il potere di trasferire gli asset congelati della Russia  all’Ucraina, grazie a una legge del 1977, l’International Emergency Economic Powers Act, che stabilisce che il presidente può “investigare, bloccare, regolare, annullare” il trasferimento di proprietà tra due entità. E’ già accaduto: Bush senior congelò gli asset iracheni negli Stati Uniti dopo che Saddam Hussein invase il Kuwait nel 1990 e riuscì a trasferirli alla commissione delle Nazioni Unite per la ricompensa delle vittime delle aggressioni di Saddam.

 

Lo studio smonta anche un’altra argomentazione di chi dice che gli asset di Putin sono inutilizzabili ed è “l’immunità della sovranità”: non c’è una base giuridica che sostenga il fatto che la Russia possa violare la sovranità ucraina invocando la propria sovranità come uno scudo contro eventuali azioni di questo tipo. Il principio è piuttosto chiaro: chi vìola la legge internazionale non può mettere un veto sulle punizioni previste per quelle violazioni. L’ex ministro del Tesoro clintoniano Larry Summers, che si spende molto per studiare e articolare una procedura multilaterale con gli europei, dove c’è la gran parte degli asset russi che ammontano a 300 miliardi di dollari,   l’ha messa in un modo ancora più semplice: “I rapinatori di banche non devono aspettarsi che le banche rispettino le loro cassette di sicurezza”. 

 

Per molto tempo la questione non è stata nemmeno affrontata perché lo sfruttamento di questi asset era considerato illegale negli Stati Uniti, ma uno studio più approfondito ha portato a conclusioni diverse che sono condivise anche in parte dai repubblicani cosiddetti moderati, come l’ex presidente della Banca mondiale Robert Zoellick. Non è  però una decisione facile da prendere, ora che la base giuridica sembra più ampia, perché si potrebbe costituire una sfiducia internazionale nei confronti degli asset in dollari e perché questi beni congelati sono considerati una merce di scambio molto allettante nel momento in cui un nuovo governo  a Mosca (nessuno con un po’ di pragmatismo si aspetta qualcosa da quello attuale) dovesse volersi sedere a un eventuale tavolo dei negoziati. 

 

Il problema del multilateralismo non è piccolo: due terzi di questi 300 miliardi sono in Europa e l’Unione europea sembra “più timida”, ha scritto sul Financial Times Gillian Tett, degli americani stessi anche a causa dei sistemi giuridici frammentati. Ma ci potrebbe essere una convergenza ancor più se i meccanismi finora trovati per sostenere Kyiv dovessero incepparsi con più frequenza: servono nuovi strumenti.

Di più su questi argomenti:
  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi