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L'arcicontesa campagna elettorale di Vladimir Putin

Micol Flammini

In Russia il senso della guerra è cambiato e nei mesi che porteranno alle presidenziali del 2024 cambierà ancora tra esercitazioni, test ed educazione alla morale patriottica

Nessuno si domanda più se Vladimir Putin si candiderà o meno alle prossime elezioni presidenziali che si terranno in Russia il 17 marzo del 2024. La domanda è piuttosto quando e in che modo deciderà di svelare la sua per nulla inaspettata candidatura. Finora, un mandato dopo l’altro, gli annunci delle competizioni elettorali sono stati  spesso inseriti in un contesto di successi da rivendicare, ponti o autostrade appena costruiti, armi invincibili appena svelate. Questa candidatura è molto diversa per la Russia in guerra e per il presidente che la guerra l’ha voluta. La partecipazione di Putin alle prossime elezioni potrebbe essere annunciata il mese prossimo durante il forum  “Russia”, al quale parteciperanno tutte le regioni della Federazione riunite per mostrare i loro successi economici. Proprio in quell’occasione, scrive il Kommersant, il presidente potrebbe dare l’annuncio, con tutti i rappresentanti regionali lì ad acclamarlo. 

Putin dovrà scegliere come presentarsi ai russi e quindi come parlare loro della guerra contro l’Ucraina. Nei mesi che lo separano dal voto, poco conteso, dovrà scegliere un argomento preferito e potrebbe scegliere la sua “operazione militare speciale” nonostante non abbia vittorie da rivendicare se non i referendum per annettere illegalmente parti del territorio ucraino e nonostante durante l’univoca campagna elettorale potrebbe aver bisogno di una nuova mobilitazione che i suoi generali chiedono da mesi. Il dilemma sarà se far sentire i russi sempre più vicini alla guerra o se alimentare l’idea che la guerra non li toccherà. Quest’ultimo era l’approccio scelto quando il 24 febbraio del 2022, incravattato e minaccioso, Putin dichiarò l’inizio dell’invasione. Da tempo ormai le cose sono cambiate, i russi, anche chi non prestava servizio  nell’esercito, sono stati mandati al fronte, i droni ucraini sono arrivati fino a Mosca, anzi fino al Cremlino, e anche il potere ha iniziato a cambiare versione, a raccontare la guerra come una questione difensiva, quindi non più così lontana. 

Campagna elettorale o meno, il presidente sta preparando sempre di più i suoi cittadini alla guerra. Oggi ci sarà in Russia una prova nazionale per testare i sistemi di allarme che si dovrebbero attivare in caso di attacco anche nucleare. Oltre alle notifiche, verranno diffusi avvisi sui televisori, mentre il suono delle sirene dovrebbe diffondersi in tutto il paese. E’ una grande prova di emergenza ed evacuazione che servirà a istruire i cittadini e che si svolgerà in contemporanea a un test simile condotto negli Stati Uniti. 

La scorsa settimana è stato inaugurato l’anno dell’insegnante e Vladimir Putin ha tenuto un discorso in cui ha sottolineato quanto sia importante la scuola nel formare la coscienza patriottica dei propri cittadini e ha lodato l’esercito e i soldati perché non soltanto sono i prodotti di un’istruzione basata sulla moralità ma anche  perché combattono contro un nemico che cerca di distruggere la memoria storica della Russia. La scuola russa a gran velocità si sta trasformando in un laboratorio del patriottismo e anche nella fucina di future generazioni che devono sentirsi pronte, un domani, a prendere le armi e combattere non tanto per difendere il proprio paese, ma per preservare la memoria storica. Non si formano futuri cittadini, ma futuri soldati disposti al sacrificio. Lo stato non esercita più soltanto il controllo sulle materie da studiare, sui professori e sui metodi di insegnamento, ma si occupa di normalizzare l’idea di una guerra permanente, di uno stato di assedio che Putin ha alimentato in questi anni e che ogni russo è chiamato a rompere con la vita. Alla morale e al patriottismo vengono affiancati corsi sull’uso delle armi e anche le associazioni fuori dalle scuole organizzano corsi che aiutano a familiarizzare con l’esercito, in modo tale che andare in guerra sarà visto come qualcosa di normale, naturale, necessario, una parte dello sviluppo del cittadino. Alcuni commentatori russi hanno chiamato questo percorso “educazione alla morte”. 

La guerra sarà al centro della campagna elettorale russa, Putin non ha veri contendenti, ma il messaggio che il Cremlino sta dando ai russi non tenta più di tranquillizzare, dice che la guerra durerà, sta arrivando, riguarda tutti, anche gli studenti. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.