Un partito fallito

I repubblicani pensavano di gestire Trump. No: sono sotto assedio

Paola Peduzzi

Chi vuole prendere il posto di McCarthy al Congresso americano e il finto problema degli aiuti a Kyiv. Il populismo che punisce il popolo: siamo di nuovo qui

L’assedio di Donald Trump al Partito repubblicano oggi conta un’altra vittimalo speaker del Congresso, Kevin McCarthy – e una vittoria simbolica che in realtà rivela quel che Politico sintetizza perfettamente in un titolo: il Grand Old Party è “uno stato fallito”, non è in grado di fare politica né di portare avanti idee e progetti e visioni. Cerca soltanto di gestire Trump, e non ci riesce.  Poiché nei parlamenti le liturgie sono importanti, il fallimento si è visto anche nella coreografia. Matt Gaetz, il deputato trumpiano che ha lanciato la mozione di sfiducia contro il suo capo McCarthy accusandolo di essere succube del Partito democratico, ha cantato la sua inutile vittoria stando seduto dalla parte dell’aula in cui siedono i democratici-nemici, senza i quali il suo minigolpe non ci sarebbe stato. Tutti i deputati repubblicani hanno votato per salvare McCarthy, tranne otto trumpianissimi e ovviamente i democratici. Così il Congresso a maggioranza repubblicana si ritrova senza speaker, deve accordarsi su un altro nome in una settimana e mette a repentaglio la discussione sul budget, facendo rischiare all’America un nuovo shutdown. Il populismo che punisce il popolo: siamo di nuovo qui. 

 

Nella storia americana non era mai accaduto che lo speaker venisse rimosso da un voto di sfiducia interno e questo pone qualche problema di protocollo, ma se gli storici possono raccontare parecchi episodi in cui lo scontro tra repubblicani e democratici ha portato all’impasse, quel che è accaduto martedì sera ha una sua unicità per il fatto che dimostra l’ingovernabilità del Partito conservatore americano. Lo stesso McCarthy furibondo – aveva lavorato tanto per ottenere la presidenza del gruppo di maggioranza alla Camera, ci aveva messo quindici votazioni e parecchi compromessi con i trumpiani – ha deciso di non ricandidarsi più e ha detto: ho fatto del mio meglio per garantire la stabilità, ma con questi deputati è impossibile. “Il quattro per cento dei nostri deputati può unirsi a tutti i democratici e dettare chi sarà il prossimo speaker”, ha detto McCarthy e un giornalista gli ha chiesto: che consiglio darebbe al prossimo speaker? McCarthy ha risposto: “Cambia le regole”.

 

I deputati repubblicani ora meditano vendetta, sono stati travolti da una minoranza, ma proprio come McCarthy non sono senza responsabilità, anzi molti commentatori conservatori che hanno assistito al disfacimento del loro partito dopo l’avvento di Trump oggi dicono: se lo meritano. McCarthy ha avuto l’ufficio con la vista migliore ma di fatto non ha mai controllato il suo gruppo e anzi ha pensato che assecondando alcune richieste avrebbe potuto avere salva la sua poltrona e anche il funzionamento della legislatura. Ma i trumpiani, come tutti gli estremisti, sono insaziabili: lo stesso Gaetz ha infine acconsentito a gennaio all’elezione di McCarthy ma oltre ad aver preteso posti nelle commissioni parlamentari non ha mai smesso di chiamare McCarthy “squatter”, uno che occupa illegalmente il suo posto. Nessuno dei repubblicani ha pensato di far presente ai trumpiani che proprio a causa di Trump la maggioranza conservatrice al Congresso non è stata “l’onda rossa” che ci si aspettava alle elezioni di metà mandato del 2022: ci si dimentica spesso che la selezione estremista dei candidati operata dall’ex presidente nel 2022 è stata punita nelle urne e che quello sarebbe stato il momento per convincersi a prendere le distanze da Trump.

 

Non era stato sufficiente l’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021 perché i repubblicani guardavano i sondaggi e vedevano la popolarità di Trump come risorsa vitale, e pazienza per l’atto eversivo, l’importante è mantenere il potere, ma nel novembre del 2022 il metodo Trump era stato sanzionato per la prima volta nelle urne, era un segnale forte. Invece i deputati e McCarthy hanno lasciato che l’ex presidente e i suoi pochi ma incendiari soldati dettassero le regole e prendessero in ostaggio il funzionamento stesso dell’aula parlamentare. L’obiettivo eversivo non è mai cambiato: impedire al sistema democratico americano di funzionare. Ma il Partito repubblicano non ha voluto contenerlo e isolarlo, ha pensato di poterlo governare nonostante non ci fosse alcun motivo di illudersi visto che l’agenda trumpiana si è imposta più volte – McCarthy ha persino avviato l’indagine per l’impeachment contro Joe Biden – e visto che Trump è il frontrunner alle  primarie che iniziano a gennaio. 

 

Ora i deputati repubblicani hanno una settimana a disposizione per presentarsi il 10 ottobre con i  candidati al posto di McCarthy e la volontà di votarne uno in modo unitario. Steve Scalise della Louisiana e Jim Jordan dell’Ohio (che nelle prime ore sembra favorito: è uno che non ha certificato il risultato elettorale del 2020) si sono già posizionati, ma bisogna andare di corsa perché il blocco del sistema che Gaetz ha rivendicato come una sua vittoria implica dei costi che pagheranno gli americani. La legge di bilancio che ha evitato lo shutdown nel fine settimana e che ha scatenato la rivoltina contro McCarthy perché era il frutto di un salutare compromesso con i democratici dura soltanto 45 giorni: a metà novembre, senza accordo, ci sarà lo shutdown. Per fortuna per il fronte pro Kyiv dentro alla legge sono stati già esclusi i sei miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina: almeno i repubblicani non potranno utilizzare come alibi del loro fallimento i fondi che servono a difendere la democrazia dall’aggressione russa – una democrazia che questo Partito repubblicano svilisce di continuo, sulla pelle degli americani e degli ucraini.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi