Al Congresso americano

Cosa succede ora che McCarthy è stato estromesso

Paola Peduzzi

Otto trumpiani decidono la sfiducia dello speaker repubblicano votato da loro a gennaio. La motivazione: collabora con i democratici. Il caos procedurale, quello politico e una settimana di tempo per accordarsi su un sostituto

I deputati repubblicani hanno estromesso il loro presidente della Camera, lo speaker Kevin McCarthy, e poiché è la prima volta che accade nella storia americana al caos politico si aggiunge il caos procedurale.

 

L'ala trumpiana al Congresso, capitanata dal deputato della Florida Matt Gaetz, ha proposto un voto di sfiducia contro McCarthy – la motivazione è importante: lo speaker collabora troppo con i democratici, fa accordi con loro, tradisce i repubblicani. L'ultimo scontro si è consumato sui soldi: per settimane si è negoziato sul budget e c'erano già state parecchie tensioni che McCarthy aveva quietato mandando avanti, con un'azione unilaterale delle commissioni parlamentari (una forzatura procedurale) l'inchiesta per l'impeachment del presidente Joe Biden. Ma l'accordo non si trovava comunque, venerdì scorso lo shutdown – la sospensione delle spese della pubblica amministrazione – sembrava sicuro, ma poi McCarthy invece ha presentato un budget negoziato con i democratici in cui sono saltate alcune spese – la più evidente sono i sei miliardi di aiuti alla difesa ucraina.

 

Pur avendo i trumpiani ottenuto lo stralcio del sostegno a Kyiv, hanno attaccato McCarthy perché ha collaborato con i democratici e con la Casa Bianca, che ha pensato: se andiamo allo shutdown “per colpa dell'Ucraina” è un disastro, meglio votare gli aiuti a Kyiv separatamente, visto che finora tutti i pacchetti sono passati con un voto bipartisan.

  

Gaetz a quel punto ha tirato dritto, ha presentato la mozione di sfiducia e ha raccolto le sue truppe. I democratici sono rimasti qualche giorno nel dilemma: sostenere McCarthy contro i trumpiani o lasciare che si consumasse la lotta fratricida tra i repubblicani? All'inizio è sembrato che un negoziato fosse in corso – ti votiamo, ma sugli aiuti all'Ucraina non facciamo più confusione – ma le voci su queste trattative hanno messo McCarthy in una posizione ancora più complicata, e ha negato. Poi il leader della minoranza alla Camera, il democratico Hakeem Jeffries, ha deciso: non saremo noi a risolvere i problemi di McCarthy, se i repubblicani vogliono far emergere la linea moderata devono votarsela.

 

Così i democratici hanno votato tutti per la sfiducia di McCarthy, tutti i repubblicani per la fiducia tranne dieci: due che non hanno votato e otto che hanno quindi deciso la defenestrazione del loro capo al Congresso. Ora lo speaker pro tempore è Patrick McHenry, un alleato di McCarthy che lui aveva scelto – così vuole il protocollo, ma la sua scelta era segreta – per sostituirlo in caso fosse rimosso o non potesse esercitare le sue funzioni. Ora McHenry ha una settimana per trovare un nuovo speaker. "Il quattro per cento dei nostri deputati può unirsi a tutti i democratici e dettare chi sarà il prossimo speaker", ha detto McCarthy furibondo dopo la votazione e dopo aver fatto capire che non si ricandiderà. Qualcuno gli ha chiesto: che consiglio dai al prossimo speaker? McCarthy ha risposto: "Cambia le regole".

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi