Gérald Darmanin (foto Ansa)

In Francia

Darmanin lancia la sua campagna per l'Eliseo come argine al lepenismo

Mauro Zanon

Il ministro dell'Interno francese è il principale candidato a raccogliere l'eredità politica di Macron per le presidenziali del 2027. Su di lui punta anche l'ex presidente Sarkozy

I suoi fedelissimi dicono che ci sarà un “avant” e un “après” il prossimo 27 agosto, quando a Tourcoing Gérald Darmanin poserà il primo mattone del suo piano per l’Eliseo nel 2027. Il ministro dell’Interno francese non fa più mistero delle sue ambizioni presidenziali. Fra quattro anni Emmanuel Macron non potrà più ricandidarsi per sopraggiunti limiti di mandato, e Darmanin già oggi parla come un candidato in piena campagna elettorale, tra accuse a una “gauche bobò-liberale” che giudica disconnessa dalla realtà e un invito a riparare il legame lacerato con le classi popolari, per non lasciarle in balìa degli estremismi di destra (Marine Le Pen e Éric Zemmour) e di sinistra (Jean-Luc Mélenchon). “Ciò che mi interessa non è più guardare ciò che è accaduto nel 2017 e nel 2022. Ciò che mi preoccupa ora è ciò che accadrà nel 2027”, ha dichiarato Darmanin in un colloquio col Figaro, prima di aggiungere: “Non dobbiamo consegnare il nostro futuro nelle mani della tecnica e dei tecnici utilizzando parole che i francesi non sempre capiscono. Dobbiamo parlare con il cuore, non con le statistiche”.

 

Darmanin ha scelto Tourcoing perché è il suo feudo elettorale (è stato deputato nella decima circoscrizione Nord, consigliere regionale del Nord-Pas-de-Calais e sindaco di Tourcoing dal 2014 al 2017) e perché è una città simbolo del nord operaio e vittima della deindustrializzazione: terre aspre, ruvide, che si sentono dimenticate da Parigi. Il titolo del suo discorso sarà “Le aspettative delle classi popolari” e spazierà dall’economia all’istruzione, dalla sanità alle politiche abitative. “Dopo sei anni al governo, sono felice di rispondere all’appello dei miei amici che mi incitano a parlare maggiormente del progetto popolare che propongo”, ha detto al Figaro il ministro dell’Interno di Macron.

 

Davanti a 400 persone, tra cui 90 parlamentari, compresi esponenti della sua vecchia famiglia politica, la destra gollista, e della gauche progressista, Darmanin vuole dimostrare di essere un “rassembleur”, un leader capace di allargare le maglie del consenso anche verso sinistra, e non il ministro scostante, divisivo e habitué della retorica securitaria descritto dai suoi detrattori. “Tutti i partiti di governo hanno difficoltà a parlare alle persone che guadagnano meno di 2.500 euro al mese. Alcuni constateranno che ci sarà un bel po’ di gente a Tourcoing”, profetizza Darmanin, promettendo “salsicce e patatine fritte” per rendere più festose e gradevoli le tavole rotonde che precederanno il suo comizio.

 

Al Figaro, il ministro dell’Interno ha detto: “Se la risposta del nostro prossimo candidato alle presidenziali sarà quella di affidarsi alle giurisprudenze e ai mercati internazionali, verrà preso atto che la volontà politica, ormai, si trova soltanto tra gli estremisti. Così facendo perderemo le elezioni e vincerà Marine Le Pen”, ha spiegato Darmanin. “Anche noi dobbiamo rappresentare la volontà politica. Dobbiamo incarnarla. Non voglio che la tecnica sia la nostra bandiera nel 2027, altrimenti non andremo al secondo turno”. Fallita l’“operazione Matignon”, come era stato ribattezzato da Libération il suo tentativo di sostituire Élisabeth Borne nel ruolo di primo ministro  durante l’ultimo rimpasto, Darmanin ha messo la presidenza della Repubblica nel mirino e ha il benestare sia di Macron sia del suo mentore e consigliere: Nicolas Sarkozy. “Saprà fare l’ultimo passo, quello che porta alle presidenziali? Glielo auguro”, ha scritto Sarkò nel suo ultimo libro, “Le temps des combats”, prima di enumerare le “qualità evidenti” dell’attuale ministro dell’Interno: “Chiarezza nell’esprimersi, il senso e la comprensione delle aspirazioni popolari, e l’energia senza cui nessun talento è utile”. 

 

La quasi certa candidatura di Darmanin, secondo molti osservatori, è figlia di un patto tra Macron e Sarkozy. Entrambi sono convinti che sia il miglior argine al pericolo nazionalista rappresentato da  Le Pen, favorita nei sondaggi in vista delle presidenziali, e sia l’unico, nel campo centrista, in grado di rispondere a quel bisogno di autorità e di fermezza manifestato dai francesi. A suo favore, come candidato vicino alle classi popolari, giocano anche le sue origini modeste: il padre gestiva un bistrot e la madre era addetta alle pulizie alla Banque de France di Valenciennes.