Il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin (LaPresse)

Fra Roma e Parigi

Macron e Darmanin tra europee e presidenziali francesi. Il ricasco su Meloni

Mauro Zanon

Cosa c’è dietro il nuovo attacco del ministro dell’Interno francese alla premier sulla gestione migratoria: l’espediente per colpire la destra di Marine Le Pen e lo sguardo non solo alle elezioni in Ue del prossimo anno, ma anche all’Eliseo

Parigi. “Quando si fanno promesse avventate, quando si è esponenti dell’estrema destra – la Meloni non è propriamente una progressista di sinistra – ci si rende conto che la realtà è più dura”. E ancora: “Il mio attacco non è contro gli italiani, ma contro le personalità politiche. Abbiamo il diritto di dire che la Le Pen, la Meloni, non hanno il modello giusto”. Ieri, su France Inter, il ministro dell’Interno francese, Gérald Darmanin, si è di nuovo espresso contro il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, a due settimane dalle dichiarazioni scivolose che avevano spinto il ministro degli Esteri italiano, Antonio Tajani, ad annullare all’ultimo momento il suo viaggio a Parigi – “Meloni è incapace di risolvere i problemi migratori”. Un attacco che coglie un po’ tutti di sorpresa, visto che proprio martedì sera, a Reykjavik, il presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, aveva usato parole concilianti nei confronti dell’Italia e di Meloni – “non può essere lasciata da sola davanti alla pressione migratoria”, “con Meloni ci confronteremo, spero di poter cooperare con il suo governo” – ma che va letta come una chiara volontà di Parigi di giocare su due piani.

 

Da una parte la leader di Fratelli d’Italia viene utilizzata per attaccare Marine Le Pen e dire ai francesi: vedete cosa succede a mandare al governo l’estrema destra? I flussi migratori continuano, anzi, si aggravano, le idee nazionaliste non funzionano; dall’altra si tenta comunque di mantenere dei rapporti cordiali con Roma, perché il problema dei flussi migratori indiscriminati si risolve a livello europeo, perché la Francia ha indispensabilmente bisogno dell’Italia e viceversa su molte questioni che riguardano il Mediterraneo, non solo sul tema dell’immigrazione, e infine perché c’è un trattato di cooperazione rafforzata, il Trattato del Quirinale, che è stato da poco firmato e non deve trasformarsi in un assist a quel gruppetto di sovranisti misogallici italiani che lo considera carta straccia e alimenta la retorica anti francese.

 

C’è poi il tema delle elezioni europee del prossimo anno, dove il Rassemblement national di Le Pen potrebbe essere il primo partito francese con il 26 per cento dei voti (ultimo sondaggio): una scadenza elettorale che Macron teme parecchio. Il suo progetto di rinascimento europeo, definito fin dal suo insediamento all’Eliseo con il celebre discorso della Sorbona del settembre 2017, potrebbe essere infatti intralciato dai piani di Meloni, che sogna una grande alleanza dei conservatori post 2024 tra Ecr, il gruppo di cui fa parte Fratelli d’Italia, e il Ppe di Manfred Weber, che in questi ultimi mesi ha più volte preso di mira l’operato del presidente francese. Anche per questo, pochi giorni fa, il luogotenente del macronismo in Europa nonché presidente di Renaissance, Stéphane Séjourné, ha criticato Meloni e le sue politiche, “fa molta demagogia dinnanzi all’immigrazione clandestina: la sua politica è ingiusta, disumana e inefficace”.

 

C’è infine un ultimo punto, che riguarda le presidenziali del 2027. Macron, per sopraggiunti limiti di mandato, non potrà più ricandidarsi, e tra i più ambiziosi del governo per sostituirlo c’è proprio il ministro dell’Interno. “C’è un patto di lealtà di Darmanin nei confronti di Macron, è fedele alla mano che lo nutre e sta bene nella macronia”, ha detto di recente un fedelissimo di Darmanin. L’uno ha bisogno dell’altro, insomma. E se ci fosse un patto per l’Eliseo?