(foto EPA)

A patti con Teheran

C'è un accordo non scritto tra Stati Uniti e Iran. Prigionieri, denaro e basta droni a Mosca

Cecilia Sala

Il programma atomico iraniano rallenta e così anche la durezza delle sanzioni. La natura del dialogo con Washington

Un funzionario del governo iraniano ha parlato in forma anonima con il Financial Times e il risultato è un quadro un po’ più completo sul progetto di disgelo fra Washington e Teheran che procede a piccoli passi. L’iraniano dice che gli americani vogliono da Teheran “fatti concreti” per fermare le forniture di droni a Mosca, che poi li usa nella sua guerra all’Ucraina. In cambio la Repubblica islamica otterrebbe la promessa che non saranno decise nuove sanzioni e che verranno allentati i controlli su quelle già esistenti. Questa seconda concessione, se vera, non sarebbe possibile dentro un patto formale, ma i punti che si discutono da mesi nei colloqui indiretti tra i due paesi non sono il preludio a un nuovo accordo simile a quello firmato da Barack Obama nel 2015, ma un “patto non scritto” molto meno ambizioso per allentare la tensione e scongiurare il rischio di escalation. Andiamo con ordine. Una settimana fa, il 10 agosto, la magistratura iraniana ha spostato quattro detenuti americani dal carcere di Evin, a Teheran, agli arresti domiciliari in un hotel dove possono usare il cellulare e incontrare i propri familiari. È il primo passo verso uno scambio di prigionieri che, come ha detto il segretario di stato americano Antony Blinken: “Dovrebbe avvenire nelle prossime settimane”, probabilmente a settembre in Qatar. Il patto comprende anche lo scongelamento di sei miliardi di dollari del governo iraniano fermi nelle banche sudcoreane per via delle sanzioni, quei fondi saranno spostati su un conto in Qatar nella disponibilità della Repubblica islamica, che potrà usare i soldi soltanto per comprare medicinali.  

Il giorno dopo l’annuncio, l’11 agosto, il Wall Street Journal ha scritto che “l’Iran ha rallentato di molto il ritmo con cui accumula uranio arricchito a una percentuale vicina a quella utile per un uso militare, e ha diluito parte delle sue scorte”. E’ una piccola buona notizia perché più lentamente avviene l’arricchimento meno sarà, in futuro, il materiale fissile a disposizione di Teheran da usare, eventualmente, per fabbricare armi nucleari. Quindi, prosegue il Wall Street Journal: “Questa è una mossa che potrebbe aiutare ad allentare le tensioni con Washington e consentire la ripresa di colloqui più ampi”. Alcuni analisti israeliani – che sono contrari a un patto tra il loro alleato fondamentale, gli Stati Uniti, e il loro nemico esistenziale, l’Iran – hanno notato che le dichiarazioni al Financial Times del funzionario di Teheran, secondo cui l’accordo non scritto prevederebbe anche un allentamento dei controlli sulle sanzioni, si sposano bene con il dato della società Kpler secondo cui la Repubblica islamica nell’ultimo decennio non era mai riuscita a esportato tanto petrolio (sanzionato) verso la Cina come oggi. In sintesi, un’ipotesi è che l’accordo informale sia già in essere e abbia comportato da una parte il rallentamento del programma atomico della Repubblica islamica e, dall’altra, controlli un po’ meno stringenti sul rispetto di sanzioni che erano state imposte proprio a seguito dell’uscita di Donald Trump dall’accordo sul nucleare iraniano voluto da Obama. Il monito americano di smettere di rifornire Mosca con i droni è diverso dai precedenti se avviene in un momento in cui sono in corso scambi tra Washington e Teheran, e in questo contesto almeno in teoria dovrebbe avere più possibilità di successo. Il problema è che, come ha rivelato una ricerca del Conflict Armament Research a luglio, i russi hanno già imparato a fabbricarsi in casa una versione domestica dei droni Shahed iraniani, che hanno chiamato “Geranio”. Ma se davvero l’Iran smettesse di spedire velivoli esplosivi a Vladimir Putin, quelli che la Russia potrà sparare contro l’Ucraina saranno comunque meno.