il vertice nato

A Vilnius vince la prudenza di Biden, il presidente più filoucraino che c'è

Paola Peduzzi

Il piano a lungo termine di Washington per l’Ucraina, e per l’America, che delude Zelensky. La strada più tortuosa per salvaguardare l’assetto futuro di Kyiv

La prudenza del presidente americano, Joe Biden, nei confronti dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato ha fatto saltare i nervi a molti alleati e anche a Volodymyr Zelensky, che dopo cinquecento giorni di guerra non ha grande tolleranza per le sfumature di parole e i tentennamenti. C’è il precedente del 2008 – la promessa di ingresso nell’Alleanza di Georgia e Ucraina poi non mantenuta – che pesa come un macigno perché la storia recente (nemmeno troppo recente) dimostra che non è una Nato larga o prevaricatrice ad aver indotto la Russia di Vladimir Putin a difendersi, ma al contrario una Nato poco assertiva ha convinto Putin ad attaccare l’Ucraina. Oggi Biden incontra Zelensky a Vilnius e vorrà correggere la frase del presidente ucraino  che, deluso per il fatto che non c’è stato un impegno politico da parte degli alleati per fissare un orizzonte temporale all’ingresso dell’Ucraina nella Nato, ha detto: “Ho fede nella Nato, ma non fiducia”. Il presidente americano ripete da giorni che questo non è il momento per far entrare Kyiv nella Nato, ma ha frenato ancor più di quanto gli ucraini si aspettassero. 

 

Di certo questa prudenza schianta la propaganda filorussa che sostiene che Biden abbia utilizzato l’Ucraina per mandare la Nato ad annichilire la Russia. E non si può dimenticare che nella decisione della Turchia di far cadere il veto sull’ingresso della Svezia nella Nato, grande parte ha giocato la commessa di F-16 cui Ankara ambiva molto e che l’America ha autorizzato; e nemmeno che senza la costante pressione degli Stati Uniti sugli alleati, oggi i tabù sulla fornitura di aerei e di missili all’Ucraina non sarebbero crollati (non è secondario nemmeno l’impulso dato da Londra a questa unità). L’America contribuisce per il 70 per cento alle spese della Nato, ha un potere decisionale enorme, ma Gideon Rachman scrive sul Financial Times che “ci sono anche buone ragioni politiche, oltre che finanziarie, perché la Nato sia guidata dalla relativa cautela dell’America”. 

 

L’Amministrazione Biden ha deciso di difendere l’Ucraina con una fermezza e una chiarezza di obiettivi che non erano scontate e che hanno molto a che fare con il fatto che Biden abbia l’età che ha e che si sia formato negli anni della Guerra fredda. Tutto si può dire e si dice del presidente Biden – i media conservatori hanno lanciato il filone Biden-arriva-confuso-a-Vilnius che nel Twitter di Elon Musk sembra quasi vero – tranne che non sia un grande sostenitore di un’Ucraina libera e indipendente in grado di cacciare per sempre i russi dal suo territorio. Ma come dice Rachman e con lui anche molti altri commentatori, l’istinto che è alla base della creazione stessa della Nato – difendere l’Europa dall’aggressività sovietica – è andato perdendosi nei decenni, non soltanto con la deformazione recente del trumpismo, e non soltanto nel mondo conservatore: Biden ce l’ha ancora quell’istinto, ce l’ha fortissimo, ma sa che non è generalizzato e che, tanto per dire, un’eventuale adesione dell’Ucraina alla Nato potrebbe non essere ratificata dal Senato americano così com’è composto oggi. 

 

Gli ucraini sono giustamente senza più pazienza verso il modo di ragionare occidentale in cui le politiche nazionali spesso prendono il sopravvento sulle decisioni internazionali: s’è persa un’infinità di tempo – tempo in cui gli ucraini vengono ammazzati dalle forze di Putin – a causa di questa dinamica. Ma se si vuole provare a decifrare la prudenza bideniana si può dire che il presidente americano ha preso un impegno di lungo periodo con l’Ucraina, ha ripetuto che si andrà avanti a sostenere la difesa di Kyiv fino a quando sarà necessario – fino alla vittoria – e proprio per questo prova a mettere basi solide e il più possibile durature a tale sostegno: soprattutto deve fare in modo che questo sostegno sia diffuso, che non sia soltanto lui a volerlo, perché l’anno prossimo ci sono le elezioni in America e tutto può succedere. 

 

Biden vuole costruire un sostegno strutturale all’Ucraina in America, un lavoro non facile perché le spinte contrarie sono molto forti, ancor più adesso che prevalgono nel dibattito scetticismo e stanchezza nei confronti della controffensiva di Kyiv. In realtà anche questa lentezza è frutto di una distorsione: secondo l’Institute of War, l’esercito ucraino ha liberato in cinque settimane più o meno lo stesso territorio che la Russia ha conquistato in sei mesi. Ma le voci che dicono che bisognerà rivedere l’appoggio all’Ucraina nel tempo, assieme a quelle che Kyiv-non-può-vincere crescono e cresceranno molto durante la campagna elettorale del prossimo anno. Biden non vuole fare strappi, e forse la sua cautela si spiega così, anche se in questa precisa occasione di Vilnius ha probabilmente scelto la strada più tortuosa per salvaguardare l’assetto americano futuro in favore dell’Ucraina.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi