l'incontro

Blinken le prova tutte per cercare di riaprire il dialogo, ma la Cina gioca alle sue regole

Giulia Pompili

Washington cerca di riattivare le comunicazioni con Pechino: gli interrogativi sull'incontro tra il segretario di stato americano e il leader cinese Xi Jinping nella Grande sala del popolo 

La notizia è che il segretario di stato americano, Antony Blinken, e il leader cinese Xi Jinping alla fine si sono incontrati. Non era scontato: non solo perché un funzionario americano di questo livello non visitava la Cina  dal 2019, e non solo perché le relazioni tra Washington e Pechino si erano ulteriormente deteriorate a febbraio, con la crisi del pallone-spia cinese poi abbattuto dal Pentagono che aveva costretto Blinken a rimandare a data da destinarsi la missione. Non era scontato perché nella prassi diplomatica tra America e Cina, quando un segretario di stato è in visita a Pechino incontra anche il segretario generale del Partito e presidente della Repubblica popolare. Ma questa volta, fino a 45 minuti prima della stretta di mano tra Blinken e Xi, non c’era nulla di certo. E’ una maratona, non è uno sprint, continuano a ripetere i funzionari americani.   Quando interrogati su cosa cambia questo incontro nelle relazioni tra le prime due economie del mondo, usano una metafora che vuol dire: non cambia nulla nel breve periodo, ma è essenziale per gettare le basi per una rinnovata comunicazione Washington-Pechino.  Nel frattempo, però, tutto può succedere. 

 

Il dialogo di ieri nella Grande sala del popolo di Pechino è durato poco più di mezz’ora: Xi Jinping seduto a capotavola, il capo della diplomazia dell’Amministrazione Biden e tutta la delegazione alla sua destra, gli americani seduti di fronte agli omologhi cinesi – davanti a Blinken non c’era il ministro degli Esteri Qin Gang, incontrato al suo arrivo a Pechino domenica, ma Wang Yi, l’ex ministro degli Esteri promosso a gennaio direttore dell’Ufficio della commissione affari esteri del Comitato centrale del Partito comunista cinese, un ruolo molto più decisionale e operativo. Qualche ora prima, Blinken aveva avuto tre ore di colloquio a porte chiuse con Wang Yi. L’estetica della giornata di ieri era molto diversa da quella più amichevole del 2018, quando i funzionari cinesi hanno dato il benvenuto all’allora segretario di stato dell’Amministrazione Trump, Mike Pompeo. 
Dopo il bilaterale, Blinken ha tenuto una conferenza stampa da solo, durante la quale ha spiegato che ci sono “diverse questioni” sulle quali i due paesi sono “profondamente in disaccordo”, ma ha ripetuto la necessità di “stabilizzare le relazioni diplomatiche” – un’espressione usata anche qualche giorno fa durante un briefing con i giornalisti da Kurt Campbell, coordinatore per l’Indo-Pacifico del Consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e uno degli artefici della strategia asiatica americana anche durante la prima Amministrazione Obama. 

 

La versione dell’incontro riportata dai media cinesi è molto simile a quella offerta dalla controparte americana: del resto, non c’era nulla da decidere, nulla di sostanziale su cui discutere. Xi avrebbe detto che la Cina “rispetta gli interessi degli Stati Uniti e non cerca di sfidarli o di sostituirli; allo stesso modo, gli Stati Uniti devono rispettare la Cina e non devono ledere i suoi legittimi diritti e interessi”. Ma naturalmente gran parte del dialogo ruota attorno alle preoccupazioni – non solo americane, ma anche dei suoi alleati – sulla situazione a Taiwan e l’aggressività, anche militare, dimostrata da Pechino nell’area dell’Indo-Pacifico. Blinken ha detto che “l’America non sostiene l’indipendenza di Taiwan”, e sia Wang Yi sia Xi hanno detto alla controparte americana che non c’è “nessun compromesso” da fare sull’isola, che la Cina rivendica come proprio territorio anche se il Partito comunista cinese non l’ha mai governata. 

 

Se da un lato la Casa Bianca cerca di riattivare le comunicazioni anche evitando gli argomenti che sono motivo di irritazione cinese (sui diritti umani, su Hong Kong, sulle operazioni militari provocatorie cinesi, sullo spionaggio su larga scala), la Cina continua a voler giocare alle sue regole. Lo dimostra il fatto che la questione ucraina sia stata affrontata solo in un passaggio, nel quale il segretario di stato ha chiesto a Pechino di controllare le sue aziende private – non ha parlato del sostegno ideologico offerto a Putin nella sua guerra all’occidente. Blinken ha chiesto anche la riattivazione del dialogo sulla Difesa tra America e Cina – una priorità dell’Amministrazione Biden in questo momento, per evitare fraintendimenti ed escalation – dialogo che è stato negato di nuovo da Pechino. Ci saranno altri colloqui con altri funzionari della Casa Bianca e le controparti cinesi, ma tutti guardano adesso a novembre, alla riunione dell’Asia-Pacific Economic Cooperation (Apec) che si terrà a San Francisco, dov’è prevista la possibilità di un incontro tra il presidente Joe Biden e Xi.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.