Boris Johnson Foto Ansa

l'editoriale dell'elefantino

L'azzardata e molto ipocrita condanna etica emessa contro BoJo

Giuliano Ferrara

Dannato per le sue festicciole alcoliche durante il Covid. E per aver usato mezze bugie per districarsi dalla ragnatela che gli si tesseva intorno per liquidarlo politicamente. Bisogna cercare di non essere tristi

A me Boris Johnson è umanamente simpatico, ma non pretendo la condivisione in fatto di impressioni psicologiche o sentimenti. Capisco che possa essere detestabile per l’establishment britannico e per una marea di cittadini del Regno Unito che sopportano le conseguenze piuttosto spiacevoli della Brexit e considerano sciagurata la scelta strategica di separarsi dall’Unione europea. I giornali inglesi che leggo, il Times, il Guardian, l’Economist, lo dannano politicamente, eticamente, con variazioni non così sensibili di argomenti, non ne possono proprio più e festeggiano le sue dimissioni da Westminster sperando che siano un sipario definitivo calato sulla sua brillante e molto ingombrante carriera politica. Uno scrittore come Jonathan Coe (Bournville, La banda dei brocchi) ha raccontato con humour e delizie narrative il suo paese, guardandolo da Birmingham e facendo ruotare decenni di storia e di storie intorno al detestabile destino di finire governati da un clown. 

Dio li fa e poi li accoppia, e questo vale anche per i grandi cabarettisti dell’epoca contemporanea: quando Johnson mi chiese il numero di Berlusconi per un’intervista allo Spectator glielo diedi e poi telefonai subito al Cav. pregandolo invano di stare attento, e lo sconsiglio finì ovviamente con una bella bevuta a Villa Certosa e un’intervista pazzotica del presidente del Consiglio italiano al divo mediatico destinato a divenire in breve sindaco di Londra e poi premier. Per certi tipi umani, spesso commendevoli, la prudenza è sempre troppa. 

Detto questo, la condanna pronunciata contro BoJo da Dame Harriet Hartmann, alla testa di un comitatone che indaga sui modi dei potenti, mi sembra decisamente azzardata e molto ipocrita. E’ la solita solfa: dicono che mentre la gente moriva isolata di Covid e il paese era stremato dalle regole ferree del lockdown il premier convocava a Downing Street numero 10 festicciole alcoliche in giardino e violava le gride manzoniane da lui stesso scritte per la generalità della popolazione britannica, e che una volta scoperto ha cercato di deviare (mislead) il Parlamento nella ricerca della verità (sempre lì: cene eleganti e nipoti di Mubarak). Ora bisogna considerare che quattro anni fa Johnson prese una maggioranza di 180 (centottanta) parlamentari, sfondando collegi da decenni e decenni in mano al Labour party per poi accordarsi con Bruxelles sul divorzio, chiudere il paese in pandemia, prendersi il Covid in una forma minacciosa da terapia intensiva, vaccinare la popolazione in anticipo su tutti e preparare servizi esercito e opinione pubblica a una crociata benedetta in difesa dell’Ucraina. Si può non essere d’accordo, ma è una performance, mi pare. 

Al di là della valutazione di una parabola politica estrema e controversa, però, c’è dell’altro e Dame Hartmann non ne ha tenuto conto. Alzi una mano chi una volta o due non ha portato il cane a fare pipì oltre i duecento metri consentiti dalle regole, per non dire dei runners e di qualche grigliata o sconfinamento alla ricerca di un supermercato in altro comune. Le indicazioni anticovid erano stringenti e molteplici, sottomettersi fu giusto, ma con giudizio e un occhio incline alla benevolenza per le piccole eccezioni innocue. E’ ipocrisia definire un baccanale fuorilegge il compleanno con booze durante un party castigato a Downing Street, occasioni piuttosto composte di intrattenimento (furono entrambi giustamente multati) anche per l’inquilino attuale della casa, Rishi Sunak. Scrive il Times che Johnson è autore della sua propria caduta perché invece di scusarsi, e punto lì, ha usato mille circonlocuzioni e mezze bugie allo scopo di districarsi da ribaldo qual è dalla ragnatela che gli si tesseva intorno per liquidarlo politicamente. Sarà anche vero, ma Jonathan Swift ha moralizzato con talento istrionico e sarcastico sull’uso della bugia (il moralismo può essere grande). Togli la finta al calcio, lo sviamento al servizio nel tennis, togli il piedino sotto il tavolo agli amorazzi proibiti o sospetti di adulterio, togli mille forzature quotidiane a tutti i giornali, togli al commercio, alla pubblicità, allo spettacolo e anche alla teologia e alla filosofia i loro gorgheggi insinceri, le circonvoluzioni del pensiero e dell’azione, ecco che hai come risultato un mondo che non esiste. Un mondo in cui la trasparenza diventa l’omaggio che la virtù rende al vizio. Bisogna cercare di non essere tristi. Come mi ha scritto un mio amico di Twitter, Pizzofalcone, un napoletano insigne, cerchiamo di non comportarci come “quelli che di venerdì santo tifano croce”.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.