Carl Court / Getty Images

L'imputato Bo-Jo

I whatsapp con cui Boris vuole salvarsi dal partygate (e rilanciarsi)

Cristina Marconi

Ora sarà la Commissione a decidere cosa fare del futuro dell'ex primo ministro: il rischio più grande è una sospensione temporanea dal ruolo di deputato. Che sia la sua fine politica lo dirà il tempo

Le feste di ieri incombono sul futuro politico di Boris Johnson, che domani dovrà fare sfoggio di tutta la sua ars oratoria per difendersi dalle accuse di aver mentito al Parlamento e, sotto sotto, di essersi divertito mentre il paese, il mondo intero, era tappato in casa o peggio, isolato in un letto di ospedale, durante la pandemia. Che sia la sua fine politica lo dirà il tempo – l’esperienza insegna che le feste non sono mai un grande scandalo, denotano una vitalità a cui gli elettori talvolta sono tentati di tornare – ma è certo che in tanti ce l’hanno con lui per la noncuranza con cui ha gestito gli anni a Downing Street, i passi falsi all’inizio della pandemia, i grandi nodi della Brexit aggirati più che risolti, gli scandali grandi e piccoli, le spese folli per ristrutturare l’appartamento da premier, i danni arrecati a un partito di cui Rishi Sunak sta raccogliendo a fatica i cocci. E ora è sul banco degli imputati della commissione per i Privilegi della Camera dei Comuni, composta da sette deputati di cui quattro conservatori e presieduto dalla laburista Harriet Harman, chiamato a stabilire se abbia fatto dichiarazioni fuorvianti al Parlamento per difendersi dalle notizie della serie di piccole feste, raduni, un party di Natale di quelli informali, da ufficio, con i quiz e i colleghi ubriachi, tenute quando qualunque assembramento era vietato.

 

Boris, che ha vinto le elezioni nel dicembre del 2019 e ha retto fino all’estate del 2022 prima di essere sostituito dall’incredibile Liz Truss, durata appena sei settimane, e poi dall’ex cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, nega di aver affermato il falso e ha depositato una memoria difensiva di cui ha auspicato una massima, immediata diffusione, anche perché conterrebbe alcuni messaggi WhatsApp da cui si evince  che si sarebbe fidato del parere dei civil servants e di altri tecnici prima di permettere che fosse stappato del vino, che fossero aperti i crackers con il formaggio in non una ma una serie di occasioni, che hanno fatto infuriare un’opinione pubblica, sopratutto tra gli elettori conservatori, fatta di anziani estremamente ligi alle regole. E il fatto che fino a ora i costi della difesa dell’ex premier sarebbero arrivati a 220 mila sterline di soldi pubblici non sta migliorando la sua posizione.

 

Ora sarà la Commissione a decidere cosa fare del suo futuro: se ritenuto in “contempt of Parliament”, ossia di essersi fatti beffa del Parlamento, potrebbe essere sottoposto a un voto da parte dei deputati e, come conseguenza, rischiare una sospensione temporanea dal ruolo di deputato. Di solito su faccende del genere i conservatori possono votare liberamente, e questo toglie dall’imbarazzo i vertici del partito, che se la devono vedere con sondaggi in leggera ripresa, sufficienti a riaccendere una flebile speranza che le prossime elezioni non siano vinte in partenza dai laburisti. Nel caso Johnson fosse sospeso per più di dieci giorni, gli elettori della constituency di Uxbridge e South Ruislip potrebbero chiedere elezioni suppletive e trovarsi un altro rappresentante. Il problema, con Boris, è che fino a ora gli scandali lo hanno rafforzato nel lungo termine: è mitridatizzato, ne ha combinate troppe. Lui sostiene di non aver infranto le regole “in maniera consapevole o incauta” e già alla fine del 2021, quando la storia delle festicciole era saltata fuori, aveva iniziato a fare dichiarazioni che ora gli si stanno ritorcendo contro. Si è difeso dicendo a più riprese che le regole erano state seguite, poi che non sapeva che fossero state infrante perché all’epoca – ed era primo ministro – gli avevano assicurato che era tutto legittimo. Tuttavia, secondo una prima relazione del Privilege Committee ci sarebbero prove che “suggeriscono con forza” che agli occhi di Johnson fosse “ovvio” il fatto di star violando regole.

 

La prima indagine, condotta dalla civil servant Sue Gray, aveva portato a un centinaio di multe, che avevano colpito sia Boris sia sua moglie Carrie sia Sunak. Con il partygate è iniziata la serie di scandali che di lì a poco l’avrebbero indebolito fino a costringerlo a un passo indietro l’estate scorsa, quando il suo governo si è dimesso praticamente in blocco in seguito a una serie infinita di passi falsi. Da allora il Regno Unito si gode i fasti di una semi-tecnocrazia guidata dal ragionevole Sunak: che abbia chiuso con Boris si vedrà nelle prossime settimane.

Di più su questi argomenti: