Avanti un altro

Rishi Sunak è il nuovo premier britannico

Paola Peduzzi

L'ex cancelliere dello Scacchiere già sconfitto alle primarie di agosto ottiene il sostegno dei parlamentari Tory. E' riuscito a far ritirare il suo ex capo, Boris Johnson, almeno da questa corsa (poi si vedrà). Aveva sempre detto che le proposte della Truss avrebbero portato il paese al collasso

Rishi Sunak è il nuovo primo ministro britannico, il terzo da quando ci sono state le ultime elezioni (nel 2019) e il quinto da quando è stato votato il referendum sulla Brexit (nel 2016). Sunak, 42 anni, di origini indiane (i suoi genitori in realtà sono nati in Africa da genitori del Punjab) nato a Southampton, sposato con una rampolla di una delle famiglie più ricche d'India, è il primo premier inglese non bianco, oltre che appunto molto benestante.

Eletto per la prima volta nel 2014, Sunak era contrario all'allora premier David Cameron sulla Brexit e scrisse un saggio che sarebbe stato poi molto chiacchierato per il think tank thatcheriano sul divorzio europeo applicato ai porti; in seguito ha votato tutte le proposte di negoziato di Theresa May e contro l'organizzazione di un secondo referendum. Ma la sua ascesa è legata a Boris Johnson, che lo ha nominato cancelliere dello Scacchiere nel febbraio del 2020 alla vigilia della pandemia, e in particolare a Dominic Cummings, l'architetto della Brexit e poi della vittoria elettorale straordinaria del 2019 che ancora oggi garantisce ai Tory un'enorme maggioranza ai Comuni.

Quando si è interrotto il rapporto tra Cummings e Johnson – male, con gli scatoloni in mano e poi con una campagna vendicativa orchestrata in modo deciso dall'ex consigliere furioso – anche per Sunak sono cominciate le scelte: era la fine del 2020, il 2021 è stato scandito dal Covid, l'asse tra Johnson e Sunak ha retto anzi, nello scandalo del partygate c'è anche l'ex cancelliere, che ha dovuto pure pagare una multa per aver partecipato alle feste a palazzo in pieno lockdown, poi nel 2022 le cose sono precipitate. Mentre Johnson perdeva credibilità invischiato dentro agli scandali, Sunak emergeva come un'alternativa calma e rassicurante del premier: questa percezione era in realtà un pochino manipolata, perché appunto l'ex cancelliere aveva partecipato alle feste ma era pure finito in uno scandalo a sua volta, una scandalo di tasse non pagate (dalla moglie) che normalmente sarebbe stato più ammazza-carriera di qualche festino con il vino sui muri. Invece Sunak ne è uscito come l'alternativa moderata, composta e credibile a Johnson: quando c'è stato da affossare l'ex premier poi, Sunak non si è tirato affatto indietro e anzi le sue dimissioni – arrivate quasi in contemporanea con l'allora ministro della Sanità Sajid Javid– determinarono il crollo della premiership di Johnson, le sue dimissioni e le primarie dello scorso agosto. Nei piani di Sunak, quello era l'inizio del tragitto verso Downing Street, e anche i parlamentari conservatori erano convinti, ma la base dei Tory si è infatuata di Liz Truss (complice anche i johnsoniani, molto influenti tra gli iscritti del Partito conservatore) e delle sue promesse che erano già azzardate e ideologiche prima della sua nomina. Sembrava che per Sunak fosse finita.

Ma la Truss ha stravolto ogni cosa, sui mercati, nel governo, nel partito, a una velocità invero imprevista e si è riaperta la guerra tra Sunak e Johnson. L'ex premier è tornato di fretta dalla vacanza caraibica e ha cercato di convincere il proprio ex cancelliere a ritirarsi. La gestione dell'incontro è stata descritta così da un conservatore: “Pareva di dover organizzare l'accoppiamento tra due panda”. Poi Sunak è riuscito a far fare a Johnson quello che inizialmente Johnson pretendeva da lui: ritirarsi. E così il piano dell'ex cancelliere e forse di Cummings si è compiuto. Fino a quando non si sa: a parte la faida personale e personalistica tra Sunak e Johnson, il punto politico è un altro. Il mandato popolare al momento esistente è di Johnson: lui lo ha rivendicato brandendolo come uno scettro per riprendere il dominio del partito e ha esagerato, ma la questione della rappresentanza esiste, eccome. Così come esiste il fatto che Johnson è amato e riconosciuto, uno dei conservatori più popolari di sempre, e quindi in prospettiva utile se la grande campagna laburista per il voto anticipato dovesse avere successo. La scelta che hanno avuto i Tory in questi pochi giorni era di fatto questa: aggiustare l'immagine internazionale o pensare a vincere le prossime elezioni. S'è scelta la prima, più urgente e necessaria, ma è evidente che in vista della seconda, il potere di Johnson resta grande.

Ora Rishi Sunak deve quindi occuparsi di rimettere in piedi la credibilità e la progettualità britannica in vista dell'inverno delllo scontento. La fine rapida della Truss è già di per sé il suo riscatto: Sunak ha passato l'estate a dire che le proposte della Truss avrebbero portato il Regno Unito sull'orlo del precipizio. Aveva ragione.

 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi