EuPorn-Il lato sexy dell'Europa

Boris Johnson di guerra e di feste scandalose

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il Regno Unito ha un ruolo unico e fondamentale nel sostegno armato a Kyiv e anche l’Europa lo riconosce. Poi però c’è il partygate con le sue bugie

L’aggressione della Russia all’Ucraina, la minaccia comune alla sicurezza di tutto l’occidente hanno curato un pochino la ferita della Brexit. Boris Johnson, il premier britannico che ha conquistato il potere spingendo oltre i limiti della fattibilità proprio il divorzio dall’Unione europea, infervorato e ostile contro il continente al punto di rischiare conflitti tra pescherecci che si contendono merluzzi e capesante – ecco Boris Johnson si è lasciato curare dall’Europa in nome di una lotta che deve essere fatta insieme – non per necessità, per volontà. Lo dimostra il fatto che la strategia della Difesa britannica presentata lo scorso anno parlava talmente poco delle sinergie con il continente che sembrava disegnata apposta per risultare insultante agli occhi degli europei. Che però hanno cambiato velocemente idea, perché la minaccia si è fatta concreta, certo, ma anche perché gli inglesi hanno intensificato la loro cooperazione con l’Europa non soltanto a livello Nato, come era ovvio, ma anche a livello di Unione europea, tanto che un diplomatico europeo ha detto al Financial Times: “Il Regno Unito è parte dell’Europa, non è un paese terzo come tutti gli altri e non lo sarà mai”.

 

Non si sentiva parlare un europeo così da moltissimo tempo, ma nemmeno si sentivano parlare gli inglesi di collaborazione strategica con l’Ue, e invece questa è ora la linea ufficiale del governo. Nessuno immagina che la guerra possa essere un momento di ripensamento per i brexitari, ma lo slancio inglese nel difendere i valori comuni, europei e occidentali, con le fitte chiacchiere soprattutto con i paesi del nord Europa, con la montagna di soldi investiti per inviare armi difensive e offensive all’Ucraina mostra quanto sia indispensabile per tutti, di qui e di là della Manica, quel che chiamiamo “lo spirito inglese”. Poi certo c’è Boris Johnson, un capo arruffato e menzognero che passa da uno scandalo all’altro, che ora è stato multato – primo premier inglese, che misero primato – per aver violato con feste a palazzo le regole anti Covid decise da lui stesso, che si è giustificato dicendo: non sapevo che stavo violando le regole, risultando così sia falso sia scemotto – ecco poi c’è Boris Johnson, che per quanto sia un leader di guerra battagliero e credibile non riesce mai a fugare il dubbio: lo fa solo per salvarsi il posto?


Che cosa fa il Regno Unito in guerra. Il Financial Times ha pubblicato un editoriale di quelli puntuti in cui dice che “è passato molto tempo da quando la Gran Bretagna ha avuto un successo in politica estera”. Il ruolo della Gran Bretagna è stato fondamentale in questa guerra, sia perché il governo inglese è stato tra i pochi che prima dell’invasione non sminuivano gli avvertimenti degli americani sia perché ha contribuito a fornire le armi necessarie a respingere l’avanzata dei russi e lo ha fatto anche prima del 24 febbraio: ha iniziato a mandare i missili anticarro portatili Nlaw a metà gennaio, mentre molti europei accusavano la Casa Bianca di isteria. Londra non ha avuto tentennamenti, inizialmente veniva accusata di proteggere i suoi oligarchi, i russi facoltosi che conservano legami con il Cremlino ma ormai costituiscono parte della ricchezza britannica, e quando Johnson diceva agli europei di sanzionare il gas, gli europei rovesciavano gli occhi: ah sì? Voi allora sanzionate gli oligarchi. Ognuno ha le sue relazioni oscure con Mosca, ma se c’è un punto su cui la Gran Bretagna non si è mai tirata indietro è stato: armare l’Ucraina. Armarla ora, continuare ad armarla. Armarla subito. Johnson ha potuto contare su un establishment della Difesa all’altezza del compito. Anche i servizi sono stati fondamentali: hanno seguito l’esercito russo e dato informazioni vitali anche a Kyiv, nonostante di loro, negli ultimi tempi, si parlasse più male che bene. Negli ultimi giorni la Gran Bretagna ha annunciato l’invio di 120 mezzi corazzati e sistemi missilistici anti nave per “sostenere l’Ucraina in questa fase cruciale in cui continua l’aggressione illegale della Russia”. L’ultimo pacchetto di aiuti militari include: 800 missili anticarro Nlaw, altri sistemi anticarro Javelin – quelli con cui gli ucraini disegnano i santini – munizioni aggiuntive, sistemi di difesa aerea Starstreak e ancora: elmetti, giubbotti antiproiettile e occhiali per visione notturna. Il pacchetto in totale ammonta a 100 milioni di sterline. In proporzione il supporto dato dall’Unione europea è inferiore, in totale ammonta a circa un miliardo, ma a questi vanno aggiunti anche i soldi che i paesi membri hanno speso singolarmente e di cui potrebbero chiedere un rimborso all’Ue. Londra ha anche promesso aiuti finanziari per 500 milioni di sterline attraverso la Banca mondiale e questa energia di difesa che riguarda il territorio ucraino ma anche i valori occidentali a tratti fa impallidire gli europei, con le loro liti, le loro stanchezze, le loro attese.


Che cosa non fa il Regno Unito in guerra. Se c’è una cosa che in questa guerra gli europei stanno gestendo meglio – molto meglio degli inglesi – è l’accoglienza. Se i paesi europei, anche i più restii all’accoglienza, hanno accettato di rendere piuttosto flessibile il loro sistema, il ministero dell’Interno britannico è stato accusato dell’opposto: di una risposta caotica ed eccessivamente burocratica. I paesi membri dell’Ue consentono ai rifugiati ucraini di entrare per un massimo di tre anni senza visto. Nel Regno Unito invece i modelli sono due, c’è il visto familiare, che possono richiedere tutti gli ucraini che hanno un familiare e va richiesto prima di arrivare nel Regno Unito. L’altro programma si chiama “Homes for Ukraine” e consente invece a cittadini britannici di ospitare rifugiati e offrire loro un spazio gratuito per almeno sei mesi e a ogni famiglia che ospita un rifugiato vengono offerte 350 sterline al mese per dodici mesi. Questo sistema è stato criticato dall’Agenzia dell’Onu per i rifugiati per l’alto numero di uomini inglesi che hanno utilizzato il programma per conoscere ragazze in fuga dalla guerra. Ma la procedura rimane complicata e lenta.

 

La forza rapida.  Creata dieci anni fa, la Joint Expeditionary Force (Jef) è una forza di sicurezza nordica a guida inglese e ne fanno parte Danimarca, Finlandia, Estonia, Islanda, Lituania, Lettonia, Paesi Bassi, Svezia e Norvegia. Differisce dalla Nato innanzitutto perché non ha bisogno di un consenso interno per schierare le truppe, non ha dei criteri come l’articolo 5 da rispettare. L’articolo 5 è la clausola dell’Alleanza che innesca la difesa collettiva di un paese aggredito, la Jef è diversa, più flessibile, più veloce. E lo si è visto sin dall’inizio dell’invasione, quando nove paesi sui dieci che la compongono hanno mandato armi all’Ucraina: l’eccezione è stata l’Islanda che fa parte della Jef ma non ha un esercito. Dal 24 febbraio, quando  la Russia ha invaso l’Ucraina, alcuni paesi della Nato si sono dimostrati un po’ troppo lenti e un po’ troppo freddi. Johnson invece ha dato una intervista all’Economist per dire che aveva già schierato i membri della Jef e insieme avevano deciso che Putin non avrebbe avuto scampo. I funzionari inglesi andavano dicendo che loro e la Joint Expeditionary Force sono quelli che agiscono, mentre la Nato è quella che riflette. Dei paesi che compongono la Jef tre sono parte dell’Alleanza atlantica ma non dell’Ue e due sono parte dell’Ue ma non dell’Alleanza atlantica. Insomma un punto di incontro per scontenti e irrequieti. Ora che la Nato parla a voce più alta, si sentono meno i sospiri di fronte alla Jef. Anche perché sia la Finlandia sia la Svezia sono pronte a entrare nell’Alleanza. 


La passeggiata di Kyiv. “Come va?”, ha chiesto Johnson. “Lo sai come va”, ha risposto Zelensky, e il premier inglese è sembrato subito inopportuno. La sua visita a sorpresa nella capitale  Kyiv è stata commentata, criticata, strumentalizzata, è diventata persino il pretesto per dire che gli inglesi sono i soliti affamati di guerra. Zelensky in realtà è stato molto grato a Johnson per la visita, gli ha mostrato il centro di Kyiv semideserto, gli ha tradotto i commenti di un ragazzo che ringraziava il Regno Unito, e alla sera ha dichiarato: Londra è stata reattiva e presente, le saremo sempre grati, anche a Boris. Il ministero della Difesa ucraina ha ribadito il messaggio, pubblicando il video della passeggiata e mettendo a tacere chi diceva che Johnson, ovunque vada, è sempre inappropriato, interpreta una parte per nascondere i guai a casa sua: “Ecco qual è il volto della democrazia. Ecco qual è il volto del coraggio. Ecco qual è il volto dell’amicizia tra popoli e tra nazioni”. Di lì a pochi giorni sarebbe riscoppiato il partygate.     


Il partygate. Lo scandalo sulle feste a Downing Street organizzate durante il lockdown, quando erano vietate, è allo stesso tempo uno scandalo perfetto e uno scandalo stupidissimo. Perfetto perché annulla tutta la retorica populista di Johnson, stupido perché si poteva evitare. Il premier ha negato le feste, e sono uscite le foto, una, due, tante foto, e non poteva non sapere che sarebbe accaduto. C’è forse stato lo zampino del suo ex consigliere Dom Cummings, che ha come missione la vendetta nei confronti di Johnson, ma lo zampino non serviva: tutti hanno un telefono in mano, tutti fanno le foto, pensare che non ci sarebbero state prove è un errore stupido. Poi il premier ha iniziato a dire che non era al corrente, che non sapeva di aver violato le regole, e anche qui: le hai fatte tu le regole, come puoi non conoscerle? Da dicembre fino all’inizio della guerra, lo scandalo si è allargato, si inspessito e s’è perso il conto delle feste tenute a Downing Street. L’opposizione chiedeva le dimissioni, ma tutto era nelle mani dei Tory, che hanno la maggioranza, e anche loro hanno iniziato a contarsi: la congiura di palazzo era in atto, ma i conservatori non erano sicurissimi che fosse una buona idea sbarazzarsi di Johnson. Alla fine si erano quietati: aspettiamo le elezioni suppletive di maggio. E’ scoppiata la guerra e due giorni fa sono arrivate le multe: le violazioni ci sono state, Johnson, sua moglie Carrie e il cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak le hanno prese e pagate. L’opposizione ha ricominciato a chiedere le dimissioni.    

 

“Deve dimettersi”. Alastair Campbell, spin doctor di Tony Blair oggi saggista, giornalista e podcaster, ci dice che “Johnson ha violato la legge, Sunak pure: è una violazione da dimissioni. Johnson ha mentito in Parlamento, Sunak pure: è una violazione da dimissioni. Non si trattava di una antica legge poco nota che quindi, in buona fede, il premier poteva violare: era nuova, era sua. Né c’è stata un’unica bugia in Parlamento: il premier ha cambiato versione e giustificazione, ha ammonticchiato bugie una sopra l’altra e tutti i ministri sono stati spinti a mentire a loro volta. Deve dimettersi”. Come Campbell la pensano in molti e l’attenuante della guerra, cioè il fatto che non è furbo entrare in una crisi di potere ora che c’è da fare di tutto per respingere e annichilire la minaccia russa, non vale. “Una democrazia non funziona se i leader mentono”, dice Campbell, “né se violano le loro stesse leggi. Ecco perché devono andarsene. E dire che non si può fare in mezzo a una guerra, vi prego, è un nonsense. Può valere  per Zelensky, ma non per Johnson. Anzi mi chiedo se la visita a Kyiv non sia stata organizzata proprio perché Johnson sapeva che cosa stava per succedere, così i pappagalli avrebbero potuto ribadire la linea del leader di guerra che deve rimanere”. 


I pappagalli sono i conservatori, che secondo Campbell avrebbero tutto l’interesse a liberarsi di un capo di governo come Johnson, ma che in realtà continuano a essere poco sicuri delle alternative: Sunak, che era visto come un probabile successore, la versione elegante e di buone maniere di Johnson, è ora nella stessa situazione del premier e in più s’è scoperto che sua moglie, figlia di un magnate indiano, non paga le tasse dovute all’erario inglese. Da possibile e promettente sostituto, Sunak ora è diventato un capro espiatorio perfetto. I Tory, nell’incertezza, prendono altro tempo. Zelensky ringrazia, ma anche i paesi europei, che già sembrano ben più spaesati di qualche settimana fa nella loro reazione dura e unita a Putin, non lo dicono ma ringraziano: l’alleato ritrovato fa la parte del duro che nessuno vuole fare, e ci serve.