Che cosa non funziona nella catena di comando di Mosca che ha indebolito l'esercito

Micol Flammini

Ramzan Kadyrov, Viktor Zolotov, Evgeni Prigozhin: ingranaggi rotti e debiti di potere. Il putinismo è il vero problema dei militari russi

Secondo il governo ucraino, l’attacco russo contro la città di Kherson da cui l’esercito di Mosca  si è ritirato ha causato almeno un morto. Il Cremlino continua a ripetere che nonostante il ritiro, Kherson continua a essere dentro al territorio della Russia, dunque, attaccando la città, avrebbe colpito il suo stesso territorio. Una dissonanza difficile da spiegare ai cittadini rimasti nella parte di Ucraina che Mosca pretende di aver annesso, come è difficile assicurare ai russi che vivono in quella che anche noi definiamo Russia che non ci sarà una seconda ondata di mobilitazione. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov lo ha assicurato di nuovo, ma dopotutto le autorità russe avevano escluso che ci sarebbe stata anche la prima e, invece, il Cremlino ha infranto l’illusione dei suoi cittadini che la guerra potesse rimanere lontana. Il conflitto è sempre più vicino per tutti, russi che non lo sono e che vivono nei territori occupati e russi che si domandano di chi fidarsi: del presidente?, del portavoce del Cremlino?, dell’esercito? Con l’invasione dell’Ucraina il presidente russo Vladimir Putin ha sfatato due miti che avevano accompagnato negli ultimi vent’anni la percezione della Russia all’estero: l’abilità di calcolare e prevedere del presidente stesso e l’efficienza dell’esercito di Mosca.  L’esercito russo era considerato il secondo più potente al mondo, dopo quello degli Stati Uniti d’America, e invece è  una macchina disfunzionale, un motore vecchio e arrugginito con la tendenza a incepparsi. 

 

Al di là dei problemi  tecnologici e di intelligence, c’è un altro aspetto da considerare per capire come mai, nonostante gli investimenti, l’esercito di Mosca sia al di sotto di quello che esperti e analisti avevano creduto: la sua catena di comando. Mark Galeotti, cremlinologo esperto e analista attento, ha spiegato durante un webinar organizzato dal George C. Marshall european center for Security studies che la catena di comando va concepita in due modi: come dovrebbe funzionare sulla carta e come  funziona nella realtà. Sulla carta, il centro decisionale principale è il  Comando unificato di Difesa nazionale, a cui è subordinato il generale che comanda le Forze armate in Ucraina, Sergei Surovikin, che può richiedere l’impiego delle Forze armate, delle Forze delle sedicenti repubbliche popolari di Luhansk e Donetsk, dei mercenari della Wagner e della Guardia nazionale. A loro volta, dalle Forze armate dipende il dispiegamento di quelle che dai tempi della Russia zarista vengono chiamate Narodnoe opolchenie, milizie popolari, e dalla Guardia nazionale dipendono i ceceni. La vera catena di comando è accidentata da lotte di potere, è caotica, frammentata e poco adatta alla cooperazione. Alcuni esempi: né il Comando unificato né Surovikin possono dispiegare i mercenari della Wagner direttamente, ma devono chiedere l’approvazione di Evgeni Prigozhin, il finanziatore delle milizie che ha un procedimento di comando tutto suo e separato dai canali ufficiali. I ceceni, anziché essere subordinati alla Guardia nazionale, dipendono dal leader della Cecenia Ramzan Kadyrov, non per niente vengono chiamati Kadyrovtsy.

 

Non è quindi la Guardia nazionale, in autonomia,  a decidere se e quando cambiare la posizione dei combattenti ceceni, ma deve prima chiedere l’autorizzazione a Kadyrov. La stessa Guardia nazionale non risponde a Surovikin o al Comando unificato come dovrebbe, e spesso attende il volere del suo direttore Viktor Zolotov. Ordini e contrordini hanno finora reso inefficiente l’esercito russo, impigliato in lotte di potere, in una struttura frammentaria che  si scontra con l’omogeneità e l’organizzazione della catena di comando ucraina. Queste divisioni rispecchiano anche la forma di potere che Putin ha impostato in questi anni, dando rilievo a persone in posizioni dalla dubbia utilità, con  il  fine di lasciare in piedi il putinismo. A Kadyrov è stato dato un potere enorme per evitare lo scoppio di una terza guerra in Cecenia, e in questi anni ha accumulato armi che un giorno potrebbe voler usare. Zolotov ha il compito di contenere e fermare sul nascere eventuali rivoluzioni colorate. Prigozhin è quello che Galeotti chiama “l’imprenditore dei conflitti”. Questi uomini che avevano il compito di riparare il potere di Putin in caso di ammaccature e perdite, in guerra sono ingranaggi disfunzionali impossibili da riparare. 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.